Scuola, la baldoria di fine anno è un eccesso di goliardia

Egregio direttore,
mi consenta di esprimere il mio dissenso sul contenuto della lettera «Ingiusto punire la goliardia da studenti» pubblicata il 15 giugno scorso.
L’autrice invita, tra l’altro, chi non desidera essere sottoposto alle prevaricazioni degli altri, a starsene a casa l’ultimo giorno di scuola, tanto non sarebbe un giorno fruttifero ai fini della maturazione culturale.
Proprio su questo mi trovo in assoluto dissenso, così come non condivido il concetto che, avvenendo queste manifestazioni «festaiole» fuori dagli Istituti scolastici, la competenza a punire gli eccessi non è più dei presidi ma dei vigili urbani. L’educazione di un giovane non può, a mio avviso, avere confini fisici per fatti che comunque sono correlati alla scuola come la «festa di fine anno». Ma ciò che più riveste un significato educativo è il concetto di «limite» della propria libertà di gioire per il rispetto della libertà degli altri.
La libertà di chi desidera andare a scuola l’ultimo giorno, per salutare in modo diverso i propri compagni e i propri insegnanti, senza dover subire l’umiliazione di un gavettone non richiesto e non voluto. La libertà dei cittadini che devono subire gli «eccessi goliardici» trasferiti sulle pubbliche aree e la libertà di chi desidera che le proprie fontane e i propri giardini pubblici siano usufruibili e rispettati.
Ecco una forma educativa dell’ultimo giorno: insegnare il rispetto delle regole e degli altri. Per un gavettone qualche giovane militare di leva ha subito un processo. Queste forme goliardiche in quell’ambiente sono state combattute perché erano considerati atti di nonnismo e quindi di prevaricazione e di umiliazione della personalità. Occorre porre dei limiti per una questione di educazione dei nostri giovani e per prevenire eccessi che potrebbero sconfinare in danni fisici, come alcune volte è successo.
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Ribadisco il concetto espresso qualche giorno fa: un po’ di festa, ok, ma senza esagerare. E quella dei presidi che cercano di tenere a bada (meglio, di educare, verbo che oggi sa di antico...) i ragazzi non è un’ingerenza o un atto «di stampo fascista» come direbbe qualcuno di mia conoscenza... Scrivevo anche che «i ragazzi si divertono di meno quando è tutto concesso». Perché, se ci pensiamo, è proprio così: quando la libertà diventa arbitrio e prevaricazione a dispetto di ogni regola, che gusto c’è a «goliardare»? È vero, gli antichi dicevano «semel in anno licet insanire», cioè una volta tanto è concesso uscire un po’ (ma solo un po’, tenendo la situazione sotto controllo) di testa. E quindi quando l’«anno» corrisponde all’anno scolastico, la baldoria è lecita.

Il punto però è un altro: coinvolgere a forza e non di rado con la violenza (quantunque ammantata dalla consuetudine) nella baldoria chi non ne vuole sapere è una pratica gioiosa e giocosa o non, piuttosto, un’imposizione? E poi la scuola non è soltanto un posto, un edificio. È un’istituzione che non finisce fuori dai cancelli o dai cortili. La si porta a casa e persino in vacanza. Con o senza gli esami a settembre.

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