Anche questanno il rito si sta celebrando nella più rigorosa tradizione: leggendo i giornali, i nostri ragazzi apprendono da vip e intellettuali di grido quanto sia borghesuccio, grigio e banale superare bene gli esami di maturità. Chiamata puntualmente ad aprire lalbum delle memorie giovanili, per rispondere alloriginalissima domanda «comè stata la sua maturità», la bella gente dItalia sfodera nel complesso la solita risposta: terribile, un incubo, un disastro. Grandi racconti di notti insonni, di preparazioni abborracciate, di camicie sudate, di scopiazzature, di temi fuori tema. Con risultati adeguati alle sgangherate premesse: promozioni fortunose, salvataggi per i capelli, miracoli di San Gennaro.
Non è un problema, faticare alla maturità. Resta pur sempre lultimo ostacolo, oggigiorno tutto sommato pure il primo, in vista della vita adulta e dei problemi adulti. È normale linsonnia, è normale lamnesia totale, è normale la disperazione davanti al titolo imprevisto. Quello che non è normale, anzi decisamente stucchevole, è questuso vanitoso dellesperienza personale che tanti nomi illustri annualmente ripropongono. Mentre raccontano delle loro fatiche e dei loro fallimenti, lanciano un chiaro messaggio: visto quantè stupido, grottesco, inattendibile lesame di maturità?
Esibiscono la prova maldestra di allora con toni vezzosi, rivendicando lorgoglio dessere andati male. Chiarissima la convinzione che ci sta dietro: non erano loro inadeguati alla prova, era la prova inadeguata a loro. Difatti, andando avanti nella vita, sè visto chi era inadeguato. Ora io, genio, tanto affermato e tanto famoso, posso raccontarti lesame come una barzelletta. Sono la prova vivente di quanto assurda fosse quella prova, se ne parlo adesso è soltanto perché mi mette un po di tenerezza e un po di divertita nostalgia. Ma non prendiamola troppo sul serio, questa maturità: come sappiamo, non conta niente e non dice niente sul reale valore di una persona. Ci vuole altro, nella vita. Te lo ripeto, ragazzo mio: guarda me, che sono un genio.
Certo che ci vuole altro nella vita. La scuola non riesce sempre a coltivare le attitudini e le passioni migliori dei ragazzi. Non sempre riesce a valutarli compiutamente. Lo sappiamo bene: la scuola, per fortuna, non assesta giudizi assoluti e definitivi. Cè tutto il tempo per rimediare, dopo. Ma fermiamoci qui. Punto e a capo, senza aggiungerci la briscola del compiaciuto disfattismo personale. Vediamo di piantarla con il narcisismo della maturità sbrindellata, esibito trentanni dopo come patente di genio incompreso. I nostri ragazzi, leggendo certi ricordi, sarebbero autorizzati a recepire questa regola fissa: maturità eccellente uguale vita grigia e modesta, maturità disastrosa uguale vita estrosa e di successo. Ma non è così. Se è vero che una maturità strappata sanguinosamente non significa obbligatoriamente una vita di fallimenti, è altrettanto vero che una bella maturità non impedisce una luminosa vita di glorie e di successi. Vorrei dire di più: una bella maturità può persino aiutare.
Il resto poi è tutto da costruire. Non è una novità. Dopo il diploma, comincia la lotta vera. Ma tra i tanti consigli che piovono in testa ai nostri ragazzi in questi giorni, vorrei darne uno anchio: diffidare di chi racconta la maturità con il compiacimento daverla fallita, dimostrando con questo che la maturità non era allaltezza del suo genio. Magari è verissimo che poi, dopo lesame, questi personaggi di successo si sono imposti a pieni voti, umiliando il verdetto della maturità. Però attenzione: nella vita, andando avanti, entrano in gioco tanti altri fattori. Non solo la competenza e la preparazione.
Cristiano Gatti
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