Una scuola di danza salva i bimbi soldato

Rapiti, seviziati e costretti a usare le armi dall'esercito del «profeta» Kony Oggi, grazie a uno di loro, centinaia di ex combattenti rivivono con il ballo

Una scuola di danza salva i bimbi soldato

Danzare per esorcizzare l'orrore della guerra. Danzare per imparare un'arte creativa, a distanza di sicurezza dalle aberrazioni generate in un passato da bambini soldati. Siamo nel nord dell'Uganda, nelle regioni di Gulu, Pader e Kitgum, abitate dalla comunità Acholi, sbriciolata da un conflitto che in vent'anni ha provocato 100mila morti, e come se non bastasse il rapimento di 66mila minori, trasformati in guerriglieri. A queste latitudini Geoffrey Omony, 34 anni, un ex bambino soldato, ha creato l'associazione Yolred, una vera e propria scuola di danza che offre un futuro a chi come lui ha trascorso un'esistenza imbracciando un Ak-47.

Bisogna però fare un passo indietro, partendo da uno dei personaggi più camaleontici, ambigui, discussi, misteriosi e crudeli del continente africano, Joseph Kony, leader del Lord Resistance Army (Lra). La storia del guerrigliero africano ha origine nel 1987, quando in Uganda, in seno al popolo Acholi, nasce un movimento che dichiara sin da subito la sua opposizione al governo del neo presidente Yoweri Museveni. A capeggiarlo è appunto Kony, che unisce irregolari allo sbando e seguaci dell'animismo più integralista e fonda così l'Esercito di Resistenza del Signore. La formazione inizialmente si dichiara estremista cattolica e nazionalista, in netta opposizione alla politica di Museveni, che quando sale al potere cerca di avvantaggiare le popolazioni delle regioni meridionali dell'Uganda.

Con il passare degli anni, e non di molti, Lra però perde ogni parvenza politica e si dedica al saccheggio, alla violenza indiscriminata, al banditismo e il tutto coniugato al furore delle predicazioni di una religione che unisce elementi del cristianesimo con aspetti dell'islam, il sincretismo e il culto della personalità di Joseph Kony, il quale si fa chiamare il Profeta. E intanto anche il terrore generato dalle operazioni degli insorti si espande. Per rendersi conto della ferocia con cui opera la formazione basta leggere i dati dell'Unicef secondo i quali in 20 anni Lra ha rapito oltre 66mila bambini costringendoli poi a combattere o trasformandoli in schiavi sessuali. Oltre 2,5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa delle violenze che hanno provocato circa 100mila morti.

A oggi Kony, sul cui capo pende un mandato di cattura da parte della Corte Penale Internazionale, è sparito, ma ciò che non è riuscito a cancellare sono i traumi fisici e mentali che condizionano tutt'ora gli ex ragazzini che con la forza e le minacce hanno combattuto al suo fianco. Se il conflitto è stato dimenticato per anni, è ancora più difficile ricordare le sue vittime. La povertà estrema e i disturbi mentali derivanti dalla guerra colpiscono migliaia di persone che sono state costrette a combattere con Lra. I bambini soldato di un tempo vengono visti come carnefici e torturatori di una guerra fratricida che ha frantumato la comunità Acholi.

Alex Bongtiko ha 26 anni e vive con sua sorella vicino a Padjule (regione di Pader), una cittadina attraversata da due strade. Ripara biciclette e motocicli che passano davanti a casa sua. La strada è una vera sfida per i pneumatici dei veicoli, soprattutto se le bici o i bagagliai sono sovraccarichi di patate o banane da vendere al mercato. Aveva nove anni quando venne rapito. Ricorda bene la data: «Il 6 dicembre 2002, da allora ho trascorso 11 anni costretto a giocare come soldato - dice con lo sguardo rivolto a terra - mi hanno ordinato di uccidere o rubare, se non lo avessi fatto, avrebbero ucciso anche me». Dopo anni di orrori ha ricevuto a malapena un supporto psicologico e se non fosse stato per la scuola di danza, probabilmente oggi sarebbe impazzito. La storia di Alex non è un caso isolato e si ripete tra molti giovani e famiglie nel nord dell'Uganda. Nicolas Kasozi, 29 anni, oggi gestisce un piccolo banchetto di cellulari usati al mercato di Adjumani. Anche lui si è unito al gruppo di danza, e la sua storia è altrettanto terribile: «Mio padre si era sempre preso cura di me pagando i miei studi, ma lui non c'era più e io pensai che dovevo unirmi ai gruppi armati per prendermi cura della mia famiglia. Mia madre vendeva fagioli al mercato, ma non era abbastanza. Quando mi sono unito al gruppo, ci hanno portato in un luogo a circa 10 km dal villaggio, lì ci hanno preparato in modo molto duro, strisciavamo anche nel fango, volevano che diventassimo spietati».

All'ingresso del villaggio di Lukodi, sede dell'associazione Yolred, c'è una croce di pietra nel mezzo dell'erba alta. È il memoriale che ricorda un massacro perpetrato dai soldati di Kony in quello che era stato un campo profughi. Qui, un gruppo di ex guerriglieri cerca di curare le ferite della guerra con il ritmo di tamburi e canzoni. Le vittime che erano state bambini soldato ballano con il resto della comunità con cui vivono assieme. Parlano di pace e di come risolvere i problemi della convivenza. «La musica e la danza sono strumenti per riunire - racconta Geoffrey Omony - il nostro obiettivo è quello di accogliere sempre più giovani che hanno vissuto lo stesso trauma. Al momento ci prendiamo cura di circa 800 ex bambini soldato. È un numero minuscolo rispetto alle migliaia di persone traumatizzate da Kony, ma è un inizio più che positivo».

Nonostante non abbia sufficienti risorse, Geoffrey fa questo lavoro in sei villaggi. L'attuale governo e le Ong internazionali, nonostante un mare di promesse, li considerano fantasmi. Quasi provassero imbarazzo nell'affrontare il problema e riaprire pagine di un ventennio tra i più deliranti per la storia dell'Uganda. Negli ultimi anni sono stati cancellati anche i programmi di riconciliazione e assistenza per le vittime di quella guerra.

Alla fine dell'ascolto della musica e delle lezioni di danza, Geoffrey prende la parola: «Con un solo proiettile puoi uccidere una persona, ma ci vogliono nove mesi per generarne un'altra. Ciò che viene ucciso rapidamente con i proiettili, ha bisogno di tempo per ricrescere».

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