Politica

La scuola delle pernacchie

«È come quel babbeo del tuo professore». «Mi sembra di vedere quell’imbranato fallito del mio professore». Il florilegio è infinito e variopinto ma il tono e gli argomenti sono quelli, non si discostano nella sostanza. Sono considerazioni spontanee, tra una risata e l’altra, sul film natalizio Olè, che ha per protagonisti due professori, impersonati da Massimo Boldi e Vincenzo Salemme. Già i due attori (bravi e simpatici) suggeriscono quale idea di professore salta fuori dal film. E infatti, come qualcuno avrà seguito, un gruppo di parlamentari dell’Unione ha protestato ufficialmente con la Rai, colpevole a loro giudizio di aver dato troppo spazio alla pubblicità di Olè, definito «offensivo e denigratorio nei confronti degli insegnanti e degli stessi studenti».
La televisione del servizio pubblico non mi sembra che vada molto per il sottile nella scelta della pubblicità da trasmettere, selezionando la moralità e l’impatto sociale dei suoi messaggi. Se, dunque, è eccessiva la richiesta di censura da parte dei parlamentari dell’Unione, tuttavia è anche esagerata la replica del regista del film Carlo Vanzina che parla di «polemiche inutili e regressive rispetto alla libertà di espressione», concludendo con il noto inno democratico: «Io che vengo da una tradizione familiare antifascista, credo che l’atteggiamento di questi signori (i parlamentari censori) sia davvero fascista». Amen: la dotta ed edificante polemica potrebbe essere chiusa così, andando tutti ad ascoltare quattro battutacce del film in questione.
Poi, però, il problema rimane, e non riguarda l’opportunità di censurare o meno la promozione pubblicitaria di Olè, quanto il modo di considerare e rappresentare il mondo della scuola. Insomma, tra Cuore con la sua maestrina dalla penna rossa e il professor Boldi dalla pernacchia facile ci sarà pure una via di mezzo per parlare con un film della scuola!
A scanso di equivoci, per me uno dica della scuola quello che gli pare anche se non viene da una famiglia di tradizione antifascista, tuttavia c’è per tutti un principio di responsabilità, in particolare per chi maneggia mezzi di comunicazione che parlano a un grande pubblico. Si scherzi pure su tutto, ma poi si è davvero tanto ingenui da credere che quella risata non abbia conseguenze sul modo collettivo di pensare e di comportarsi?
Ci sono dei film capolavoro e degli attori mitici che hanno segnato un’epoca della nostra storia orientando i costumi e l’opinione pubblica: certo, il film di Vanzina non è un capolavoro, e i suoi attori sono lontani dal mito, tuttavia viene toccato un argomento delicato, soprattutto per i nostri giorni.
La malattia più grave della scuola italiana è la perdita di autorevolezza. Forse a qualcuno sono rimaste in mente le immagini filmate in un’aula, che riprendono gli studenti mentre compiono vandalismi di ogni genere di fronte a un professore impotente e umiliato. Sono immagini che abbiamo potuto vedere qualche giorno fa: non sono la regola ma neppure l’eccezione di ciò che accade nelle scuole.
L’autorevolezza della scuola dipende da quella dei professori, e questa si basa sulla considerazione sociale che gode la classe insegnante. Se un genitore di fronte a suo figlio denigra, ridicolizza, scredita il professore, è finita. Se la gente, in generale, viene portata a credere che i professori siano dei poveracci che nella vita non hanno saputo fare niente di meglio, che lavorano poco, che quei 1.200 euro al mese che guadagnano sono fin troppi, come si può poi pensare che la scuola trovi la necessaria autorevolezza per svolgere il suo delicato, fondamentale compito?
Non è certamente un film a gettare in un irrimediabile discredito i professori, però non dimentichiamo che le forme di comunicazione di massa costruiscono l’opinione pubblica. Non è certamente un regista che fa un film per Natale a rovinare per sempre l’immagine pubblica della scuola.

Però anche il regista di un film natalizio potrebbe non esimersi dal prendere in considerazione un elementare principio di responsabilità e contribuire, secondo le proprie possibilità, a ricostruire la dignità e l’autorevolezza della scuola e dei suoi insegnanti.

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