Assessore Valentina Aprea, le prime impressioni di questi giorni milanesi?
«Al di là di ogni aspettativa. Mi aspettavo di confrontarmi con una realtà molto efficiente, ma ho trovato un livello elevatissimo. Parlo della struttura, gli uffici che mi sono stati messi a disposizione, ma soprattutto del livello dirigenziale e della macchina che funziona».
Valentina Aprea, classe 1956, sposata, un figlio di ventotto anni, in Parlamento dal 1994, sottosegretario all’Istruzione dal 2001 al 2006, ha lasciato la Camera e l’incarico di presidente della Commissione Cultura per diventare assessore a Cultura, Istruzione e Formazione della giunta Formigoni.
Meglio Palazzo Lombardia del ministero?
«Sicuramente! Ma non vorrei farmi nemici... Ho avuto due esperienze politiche importanti: alla Camera e al ministero da sottosegretario. Questa è un’esperienza diversa».
Come si lavora alla Camera?
«Alla Camera c’è molto formalismo ed è giusto che sia così perché è un’assemblea nazionale, con riti e tempi che vanno rispettati. Ci sono tempi istituzionali molto lunghi».
E alla Pubblica istruzione?
«C’è molta burocrazia. Qui ho trovato una politica del fare molto evidente. Adesso dovrò sperimentare i tempi del consiglio regionale. E siccome un pezzo della legge sullo Sviluppo riguarda il mio assessorato, saprò dire presto con maggiore precisione...».
Teme inciampi al via libera per gli insegnanti a chiamata?
«È una sperimentazione della chiamata dei supplenti annuali da parte delle scuole, per garantire una maggiore qualità degli insegnamenti e una maggiore responsabilizzazione delle scuole».
Che cosa cambia per gli studenti se i supplenti sono a chiamata?
«Le scuole possono scegliere docenti che condividano il progetto della scuola. Ci sono scuole che aderiscono a progetti nazionali o europei, a Olimpiadi della Matematica o, soprattutto per quel che riguarda l’insegnamento tecnico, a esperimenti di raccordo con le imprese. È un bene per tutti che gli insegnanti siano i più adatti ai singoli progetti».
E gli insegnanti?
«L’obiettivo è valorizzarli. Adesso gli insegnanti sono numeri intercambiabili, ma nella realtà non è così, ciascuno è più adatto a un progetto piuttosto che a un altro. Ovviamente salvaguarderemo i diritti acquisiti e seguiremo criteri che saranno condivisi con il governo nazionale».
La Cultura è un settore tradizionalmente trascurato dai finanziamenti pubblici. È rassegnata?
«Non sono rassegnata, si tratta di trovare nuovi strumenti non solo pubblici e non solo regionali: sponsor privati, come accade in larga parte del mondo. Faremo dei bandi per evitare quel che è successo a Roma con il Colosseo. Da due anni la Regione non ha finanziamenti per questo settore e andiamo avanti con fund raising, accordi con privati e circuiti internazionali».
Progetti in cantiere di cooperazione tra pubblico e privato?
«Un accordo con le Ferrovie per ottenere l’utilizzo di spazi alla Stazione centrale e trasformarli in luoghi di espressione e creatività per i giovani artisti. Ci sono molti altri progetti con soggetti privati. Qui, rispetto alla scommessa nazionale, c’è la pretesa federalista. Federalismo e sussidiarietà in cui credo ciecamente ma che a livello nazionale ho visto poco realizzati».
Adesso ci sono abbastanza donne in giunta o si può fare ancora di meglio?
«Siamo tre e si avvertirà sempre più la nostra presenza. Nel mio staff c’è una prevalenza femminile: ci sono donne, professioniste, di tutta l’età. Chi entra nei nostri uffici, nota che da noi soffia un vento rosa».
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