A scuola sul divano di casa

In Italia gli studenti fai-da-te sono un migliaio, ma il fenomeno è in crescita. Colpa di insegnanti scadenti, bullismo e omologazione culturale

A scuola sul divano di casa

La risposta via Skype arriva dal Messico. «Restiamo tre mesi», sorride Erika Di Martino mentre allatta l'ultimo dei cinque figli. Gli altri quattro saltellano attorno al computer. Nessuno di loro (il maggiore ha 11 anni) mette piede in una scuola, solo istruzione fatta in casa, con grande invidia dei coetanei. «I bambini sono studiosi nati, apprendono sempre perché tutto è motivo per conoscere», spiega la mamma che è stata prof di lingue prima di sedersi alla cattedra domestica. «Qui impariamo lo spagnolo dalla gente del posto. I siti archeologici ci spalancano la storia precolombiana. L'arte di Frida Kahlo è ovunque. Visitiamo molti luoghi, per i bambini è fondamentale aprirsi al mondo. Possiamo viaggiare low cost fuori stagione. Mio marito ha preso il congedo parentale».

Conclusione: «L'homeschooling è l'unica scuola a misura di famiglia». Niente professori, niente testi costosi, niente campanella né compiti per casa, interrogazioni, voti, zainetti. Il sogno di tanti studenti è una realtà consolidata negli Stati Uniti, nel mondo anglosassone e, in misura minore, in alcuni Paesi europei. Va sotto il nome di educazione parentale: i genitori si fanno carico della formazione dei figli. Negli Usa, secondo il National Center for education statistics, nel 2012 era «homeschooled» il 3,4 per cento dei ragazzi nell'età dell'obbligo: circa un milione 800mila studenti su un totale di 51 milioni e mezzo. Nel 1999 sfioravano l'1,7 per cento: il numero è più che raddoppiato in 13 anni. Uno sviluppo impetuoso. In Italia l'homeschooling è ancora un fenomeno marginale anche se, come negli Usa, in rapida crescita.

Secondo il ministero dell'Istruzione sono poco meno di un migliaio gli studenti che assolvono l'obbligo tra le mura domestiche. Cifre parziali, precisa il Miur, perché non tutti i dirigenti scolastici hanno comunicato i dati e perché il monitoraggio non riguarda nidi, materne e superiori. Per Erika Di Martino, che con i siti controscuola.it ed educazioneparentale.org è il principale riferimento in Italia, in base alle presenze ai raduni sono un migliaio le famiglie interessate e oltre duemila gli homeschooler italiani. L'educazione parentale non contravviene la legge: la Costituzione dice che è obbligatoria l'istruzione, non la scuola. I genitori devono comunicare la loro scelta ogni anno al sindaco, o al dirigente dell'istituto pubblico cui dovrebbero iscrivere i figli, autocertificando di avere i mezzi economici e le competenze culturali. Chi vuole inserirsi nel sistema, statale o no, o avere un titolo di studio con valore legale deve fare l'esame da privatista. Spesso la maturità si salta: molte università straniere non la richiedono e possono essere seguite anche on-line.

SFIDUCIA VERSO L'ISTITUZIONE

È un forte allarme per la scuola come istituzione ma anche «un segnale di crescente consapevolezza delle famiglie», come dice Sabino Pavone, vicepresidente della Federazione nazionale scuole Steiner-Waldorf. I motivi dell'homeschooling sono in larga parte legati all'insofferenza verso l'insegnamento ufficiale. Negli Stati Uniti la prima ragione (25 per cento) è il pessimo ambiente scolastico (droga, fumo, violenze, bullismo, omologazione); seguono (21 per cento) l'impossibilità di trovare una scuola valida vicino a casa o i costi elevati per raggiungerla, l'insoddisfazione per la qualità dell'insegnamento (19 per cento), motivi religiosi (16) e morali (5). Soltanto il 5 per cento non manda i figli a scuola per difficoltà fisiche o mentali dei ragazzi e una percentuale analoga s'ispira invece a metodi «alternativi». Da noi i motivi sono analoghi, conferma Erika Di Martino. Dai dati del ministero emerge anche un altro aspetto: molti studenti optano per il fai-da-te dopo una bocciatura. Dei 638 ragazzi che dichiarano di fare le medie a casa, ben 192 (il 30 per cento) ha 15 o 16 anni: sono cioè stati respinti una o più volte. È un altro segnale di disistima verso l'istituzione scolastica, incapace di recuperare gli alunni più problematici. «Più insegnavo, più cresceva il malessere verso la scuola ricorda Di Martino -. Programmazione rigida, classi affollate, impossibile seguire i ragazzi a uno a uno. Ora studiamo ciò cui la realtà ci fa appassionare, impariamo nei musei, negli orti, su internet. In casa parliamo tutti l'inglese come l'italiano. L'homeschooling fa risparmiare su libri, corredi, mensa, trasporti, rette. Non serve essere tuttologi: ci vuole entusiasmo. Amare la presenza dei figli, avere tempo e una buona dose di dedizione servono più di una laurea». «E poi aggiunge - nulla vieta di chiedere aiuto, come quando si impara a suonare uno strumento. Nove volte su dieci non sappiamo rispondere alle loro domande ma è bellissimo cercare assieme, si va in biblioteca o sui documentari di Youtube, si crea una rete di amici, vicini, nonni. I ragazzi si appassionano allo studio che non è più un peso insostenibile, e vedono crescere la loro autostima». Di recente sono sbarcate in Italia anche le «co-op classes»: famiglie che periodicamente si ritrovano per approfondire un tema con l'aiuto di un tutor. Marzia Bosoni, scrittrice e traduttrice con tre figli che studiano lontano dalle aule, coordina un'esperienza di questo tipo a Ravenna: «Un gruppo di genitori voleva un aiuto in vista dell'esame di terza media che i figli homeschooler dovranno sostenere».

SCUOLE DEMOCRATICHE

«È difficile affrontare da soli certe materie, e quando i ragazzi fanno le medie o le superiori qualche genitore si blocca per un senso di inadeguatezza. Così ogni lunedì ci vediamo per approfondire tutti insieme alcuni argomenti. Non sono lezioni ma incontri dove emergono dubbi e domande. In questo modo anche noi adulti ci aiutiamo a imparare di continuo. Proprio questo vogliamo mostrare ai ragazzi: nell'apprendimento non c'è un'unica strada, occorre elasticità, un pensiero trasversale». Ma la galassia dell'istruzione alternativa è variegata. La mappa è tracciata da Terra Nuova, rivista dei nuovi stili di vita sostenibili. Ne fanno parte le Scuole democratiche e libertarie, le Scuole senza zaino, gli Asili nel bosco, reti di famiglie che in mettono in piedi asili o classi elementari autogestite magari con l'aiuto di qualche parrocchia: qui la preoccupazione di trasmettere i valori familiari (ed evitare «indottrinamenti» su questioni come il gender) prevale sull'esigenza di lasciare ai ragazzi la responsabilità di decidere a maggioranza come organizzare tempo e spazi. A queste si aggiungono le alternative «classiche» come le scuole Montessori e le Steiner-Waldorf oltre alle centinaia di scuole non paritarie, cioè gli istituti privati registrati agli Uffici regionali del ministero che non possono rilasciare titoli di studio con valore legale. Benedetto Scoppola, presidente dell'Opera nazionale Montessori, spiega che il loro metodo educativo è riconosciuto dallo Stato e la non parità è dovuta ai tempi di attesa per l'accreditamento.

IL CASO STEINER-WALDORF

Diverso il caso delle steineriane. Dice Pavone: «La scuola Steiner-Waldorf gode di altissima considerazione in molte piattaforme di lavoro europee ed è diffusa in tutto il mondo ma non è ancora pienamente riconosciuta dalle istituzioni in Italia. I nostri insegnanti seguono una formazione di tre anni con circa 1200 ore di lavoro imparagonabile con i tirocini ministeriali, eppure non sono ufficialmente abilitanti. La scelta dell'ordine di funzionamento non paritario è una condizione obbligata, poiché gli insegnanti possiedono i titoli accademici e l'abilitazione Waldorf spendibile solo nelle nostre realtà scolastiche. Ciò costituisce un trattamento non equo non solo verso il nostro movimento ma anche verso i coraggiosi genitori che, per sostenere la loro libertà di scelta educativa, sopportano gravi sacrifici economici.

In molti Paesi europei se una dozzina di famiglie chiede l'apertura di una sezione Waldorf interviene lo Stato e la organizza a sue spese, in tutto o in parte, come pure la formazione degli insegnanti. In Italia invece le scuole che operano in tale regime di funzionamento non ricevono un euro pubblico. È stato inaugurato un tavolo di lavoro con il Miur a Roma per superare queste incongruità».Stefano Filippi

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