Scuole, a Milano la riforma Moratti va avanti

Diminuiti gli abbandoni; alla teoria si privilegia «il fare esperienza»

Augusto Pozzoli

In Lombardia la riforma del secondo ciclo di istruzione va avanti. Nonostante l’accordo Miur e Conferenza unificata Stato Regioni di bloccare ogni forma di sperimentazione. Continuano, insomma, i corsi triennali sperimentali, arrivati al secondo anno di esperienza. Coinvolti i ragazzi poco interessati allo studio, quelli più a rischio di abbandono, quelli comunque che aspirano a trovarsi un posto di lavoro il più presto possibile. Lo scorso anno avevano aderito all’iniziativa in Lombardia 41 scuole superiori, per lo più istituti professionali e qualche istituto tecnico. A settembre si sono aggiunte altre 20 scuole. In tal modo il numero delle classi in attività è passato dalle 101 del 2004-05, alle 143 di quest’anno. Il numero degli studenti coinvolti che lo scorso anno raggiungeva quota 2.000, ora arriva a 5.000 iscritti.
«Abbiamo già verificato i dati del primo anno di esperienza – osserva Giuliana Pupazzoni, la dirigente dell’ufficio scolastico regionale che sovrintende alla sperimentazione – e abbiamo visto come il tasso di insuccesso scolastico, le bocciature e gli abbandoni per intenderci, è risultato del 23,40 per cento rispetto al 26,50 dei corsi professionali ordinari. Si boccia meno e, io credo, si dà una formazione professionale più adeguata». Un argine, dunque, alla dispersione scolastica, una delle piaghe della scuola, soprattutto alle superiori. Le ragioni di questo successo stanno nella nuova impostazione didattica applicata in questi corsi. «La sperimentazione appena avviata – spiega Giuliana Pupazzoni – si avvale di nuovi metodi di studio che hanno alla base un concetto fondamentale: fare per arrivare al sapere. Per questo l’insegnamento si basa innanzitutto dall’esperienza concreta degli alunni da cui si ricavano poi gli elementi per arrivare alle nozioni teoriche. Un’altra importante risorsa adottata è quella di strutturare l’attività non tanto sulla rigida base delle discipline, ma sulle unità didattiche predisposte in forma pluridisciplinare da diversi insegnanti insieme. Un modo nuovo di far scuola, insomma, che vede un impegno straordinario dei docenti, alcuni dei quali partecipano a delle riunioni interscolastiche per confrontarsi e mettere a disposizione gli uni degli altri le cose migliori che si riescono a fare nelle classi».
Una didattica, insomma, più personalizzata. Un anticipo di uno dei principi cardine della riforma delle superiori a cui il Miur sta lavorando. Ma si tratta di un anticipo della riforma stessa, dunque? Risponde la Pupazzoni: «Questo aspetto per noi che lavoriamo sul campo è irrilevante. Per noi quello che conta è dare una risposta seria a una scuola in cui ancora troppi ragazzi non riescono a raggiungere seriamente un diploma».
In prospettiva questi corsi dovrebbero essere destinati a soppiantare analoghi corsi, pure triennali, avviati dalla Regione tre anni fa, che a giugno hanno visto raggiungere il diploma di qualifica regionale oltre 5.

000 studenti e che vede impegnati ancora altri 2.000 allievi che si diplomeranno nel prossimo biennio. Un’insieme di corsi dunque che nella prospettiva della riforma potrebbero costituire il cosiddetto secondo canale di formazione.

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