La scure della Fed: tassi giù dello 0,50%

Vola Wall Street dopo la decisione, petrolio ed euro (a un passo da 1,40 dollari) toccano nuovi record

La   scure della Fed: tassi giù dello 0,50%

Milano - L’invito alla cautela di Alan Greenspan è caduto nel vuoto: Ben Bernanke ha imbracciato la scure e tagliato ieri i tassi sui Fed Fund di mezzo punto percentuale, riportandoli al 4,75%, dopo averli mantenuti invariati per nove volte consecutive. E una seconda sforbiciata, dopo quella assestata lo scorso 17 agosto, ha alleggerito di un altro 0,50% il tasso di sconto (al 5,25%). La misura adottata dalla Federal reserve è la prova provata di quanto la crisi generata dai mutui subprime e poi propagatasi ad altri settori, fino alle recenti implicazioni al mercato del lavoro, sia considerata non più circoscrivibile con il ricorso sistematico alle iniezioni di liquidità, ma richieda un rimedio ben più drastico. Eccolo, il passaggio-chiave nel comunicato del Fomc che giustifica il primo allentamento del costo del denaro degli ultimi quattro anni: «La stretta delle condizioni del credito ha il potenziale d’intensificare la correzione del mercato immobiliare e frenare la crescita economica più in generale».

Prudente per natura, da sempre ossessionato dalle spinte inflazionistiche, schiacciato dal paragone con l’ingombrante predecessore, Bernanke ha ieri impresso una svolta al proprio mandato, prendendosi anche il rischio di una cattiva interpretazione delle proprie scelte. Così non è stato, almeno a giudicare dalla reazione immediata di Wall Street, dove l’annuncio della Fed è stato accolto con una standing ovation sotto forma di un rialzo da 200 punti del Dow Jones (più 2,46% in chiusura; il Nasdaq è salito del 2,64%), mentre sul mercato dei cambi l’euro schizzava - e non poteva essere altrimenti - al massimo storico di 1,3973 dollari in seguito all’ulteriore accorciamento della forbice tra i tassi Usa e quelli europei, tra l’altro destinati a salire ancora entro l’autunno. Caldi, caldissimi anche il petrolio (82,16 dollari, primato storico) e l’oro, schizzato a 733,40 dollari l’oncia, ai massimi da 28 anni.

Se la Fed ha finalmente fugato tutti gli interrogativi che hanno accompagnato per giorni l’evoluzione del costo del denaro, resta la conclamata criticità della situazione congiunturale Usa, tale da far passare in secondo piano i rischi d’inflazione che pur «restano e continueranno a essere monitorati». «L’intervento odierno - spiega la nota - ha l’obiettivo di aiutare a contrastare alcuni degli effetti avversi che potrebbero altrimenti riversarsi sull’economia reale dalle turbolenze sui mercati finanziari e favorire una crescita moderata nel tempo».

Il pessimo dato sull’occupazione (4mila posti in meno in agosto, appena 70mila creati in tre mesi) non poteva essere ignorato, anche per i possibili riflessi sui consumi e per la forte decelerazione che verrà probabilmente evidenziata dall’andamento del terzo trimestre, tale da offuscare il brillante risultato del periodo tra aprile e giugno (Pil più 4 per cento).

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