Una sforbiciata, niente di più. Lo svuotamento delle province, voluto dal governo Monti, rappresenta un segnale importante per l’opinione pubblica, ma i numeri sono una goccia nel mare della pubblica amministrazione. Secondo uno studio della Bocconi, l’università del professor Monti, le 110 province italiane - cresciute sciaguratamente con l’invenzione di Monza-Brianza, Fermo, Barletta-Andria Trani - costano circa 11,5 miliardi di euro l’anno. Monti prevede il trasferimento di quasi tutte le funzioni e del personale a Regioni e Comuni entro il 30 aprile prossimo. Una volata. Le province resterebbero dei noccioli vuoti; i costi migrerebbero altrove, ma certo non svanirebbero. La Cgia di Mestre calcola un risparmio, a voler essere generosi, di circa 400 milioni l’anno. Una cifra importante, ma poca cosa nel marasma degli sprechi e delle spese irrazionali.
Le province hanno competenze rilevanti: anzitutto le strade e le scuole superiori, con annessa formazione professionale. In totale le 110 «sorelle» gestiscono 5mila edifici, 120mila classi, 2 milioni e mezzo di allievi. Un compito delicatissimo e non si capisce bene come si possa smobilitare questo apparato in pochi mesi. In ogni caso questa voce vale quasi 2 miliardi e mezzo l’anno ed è difficile, almeno in prima battuta, immaginare risparmi sui banchi. Stesso discorso per la viabilità e i trasporti: un settore che viene finanziato con 1 miliardo e 451 milioni di euro e non è facilmente comprimibile.
I tagli arriverebbero invece dalla decapitazione del personale politico. Monti prevede l’abolizione delle giunte e una drastica cura dimagrante per i consiglieri, fino a far precipitare il loro numero a quota dieci per ente. Quel che gli italiani ignorano, disorientati dalle troppe manovre, è che già le precedenti strette - la 78 del 2010 e quella di metà agosto - avevano prescritto una cura da cavallo e il dimezzamento degli amministratori (presidenti, assessori, consiglieri) da 4mila a 1.774. Il tutto con un conseguente abbattimento dei costi: da 113 a 35 milioni. Con Monti la riduzione sarà ancora più secca e rapidissima. A precipizio.
Entro il 30 novembre 2012 le giunte e i consigli dovranno andare a casa e si entrerà in un’altra era, quella delle province virtuali. Residuati burocratici. In pratica, Berlusconi aveva già anticipato molto di quello che Monti annuncia: i consiglieri della provincia di Piacenza, meno di trecentomila abitanti, sarebbero scesi vertiginosamente da 24 a 10. Esattamente lo stesso numero su cui si è ancorato il senatore vita. A Milano, 3 milioni e passa di abitanti, la previsione era di passare da 45 a 22. Dimezzando il peso. Anche se gradualmente. La Cgia stima che altri cento milioni arriverebbero dalle province collocate nelle regioni a statuto speciale, ma quelle sono blindate più di un caveau. «Le province - mette le mani avanti il Presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione - non sono la casta. Queste misure valgono sì e no 30 milioni». E il governatore del Piemonte Roberto Cota semina perplessità: «Mi chiedo se Monti sappia che senza le province non si potrebbe neppure amministrare correttamente il territorio». Anche la Sardegna è sul piede di guerra e gli otto presidenti - pure nell’isola c’è stata una proliferazione - si preparano a resistere, invocando lo statuto speciale.
La guerra è appena iniziata e la Bocconi prova ad aprire un nuovo fronte: in Italia ci sono altri 4.400 enti territoriali, fra le comunità montane e i consorzi, che pesano come una montagna: 7 miliardi l’anno. È lì che si dovrebbe intervenire.
Le 110 sorelle sono tutto il contrario di quel che ci avevano detto: non carrozzoni ma macchine efficienti. Costano 180 euro l’anno pro capite, ma ne restituiscono 178 in servizi. Una media invidiabile. Quasi tedesca, nell’Italia degli sperperi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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