Politica

Se dopo 9 anni un padre si ricorda che ha un figlio

Caro direttore
sono una mamma a conoscenza della Carta sui diritti del fanciullo e sostenitrice dell’importanza fondamentale che l’infanzia e la crescita del bambino hanno per dare come risultato l’uomo che farà la società e starei volentieri ore sull’argomento.
Ma purtroppo sono a scrivervi per motivi più pratici e concreti, gravi e urgenti. Ho bisogno di aiuto.
Sono madre di un bambino di 10 anni. Rientro nella classifica di «ragazza madre» perché il compagno con cui ho concepito mio figlio, ci abbandonò al nostro destino già prima del parto. La storia è complessa perché lunga 10 anni ormai, e non basterebbero pagine, ma è importante sapere che nel tempo ho provveduto a fare i tentativi possibili per far nascere un rapporto umano con il padre (che non ha mai provveduto né al mantenimento né agli interessi del bambino) senza forzature, non mettendo di mezzo le orribili vie legali, ma mantenendo i contatti con padre biologico e famiglia, interrotti gravemente sei anni fa, a causa di un’aggressione pesante fatta dal padre e dalla nonna paterna nei miei confronti, coinvolgendo il bambino messo in mezzo tra le loro urla e i miei inviti calmi di abbassare termini toni e modi per il bambino terrorizzato (eravamo chiusi in macchina). Infatti gli comparve un tic nervoso che fu resistente a passare (durò quattro mesi con le cure del caso).
Il presupposto già non era favorevole tanto più che durante la gravidanza ho subito un vero e proprio stalking per farmi abortire fino al sesto mese e mezzo di gravidanza, anche previo pagamento e con la clinica già contattata per l’illecito (non denunciato per ingenuità).
In seguito alla dichiarazione del padre, che affermava il rifiuto di occuparsi del bambino perché intenzionato a fare altre esperienze rispetto alla carriera e personali (allora faceva uso di droghe leggere e pesanti), mi feci poi seguire nel tempo dal servizio sociale, più che altro per orientamento e per avere un occhio ulteriore e affrontare una maternità da sola.
Ci furono varie minacce di strapparmi il bambino, togliermelo e rovinarmi la vita, da parte del padre biologico e famiglia, per fare in modo che io scendessi ai loro compromessi, per tenermi sotto scacco timorosi che io volessi «incastrarlo», ma invece io ero decisa e convinta per un «diritto alla vita» e il «diritto del fanciullo» superiore alla grettezza di certi personaggi. Fatto è che ho proseguito da sola ma tranquilla e con le fatiche del caso, solo concentrata sul bene, sull’amore e sull’educazione del meraviglioso bambino, di cui tutti i miei sostenitori dei servizi, delle scuole, amici e parenti vanno orgogliosi.
In seguito la minaccia si è fatta sempre più seria, con situazioni strane ed evoluzioni agghiaccianti di ricorsi e procedimenti legali. Dalle minacce sono passati ai fatti. Loro sono una famiglia potente, hanno allacci o «mani in pasta» ovunque... Forti della loro posizione hanno iniziato battaglie legali estenuanti, con violenza e aggressività.
Il bambino, nato nel 2000, è stato riconosciuto nel 2009 dopo un ricorso del padre biologico e concluso con decisione del Tribunale dei minori, che riconosceva la paternità, ma per i diritti e doveri rimandava ad altro procedimento. Questo lungo procedimento è durato tre anni, perché già allora feci notare tutta una serie di problematiche gravi riguardo al padre e alla famiglia, ed emersero fattori su cui effettuare una serie di indagini.
Il Pm nell’ultima udienza collegiale si era riservato di fare indagini sul padre, che tra l’altro in quel periodo era già indagato. Ma non ci fu seguito. E vinse il ricorso, complice il mio avvocato che è sparito dalla circolazione. Mi arrivò direttamente l’avviso da parte dell’ufficio anagrafico dove il padre fece la registrazione a mia insaputa. Ho poi dovuto impostare un procedimento perché all’ufficio anagrafico malgrado i nove anni del bambino, il padre aveva espresso la volontà di «sostituire» il cognome materno con quello paterno, al quale mio figlio ha reagito malissimo, con conseguenze sulla sua serenità (abbassando il rendimento scolastico). Ormai mio figlio si è identificato nel suo «vero nome», come dice lui, con cui tutti i suoi amici lo conoscono e mi ribadisce che odia il padre per questo e perché lo vuole costringere a fare quello che lui non vuole. Ma il «nome» e la posizione di padre e famiglia fanno più effetto... Non ho potuto più far nulla.
Ora siamo alla fase peggiore, l’«affidamento». Mi trovo ad affrontare una situazione raccapricciante dove addirittura il medico, lo psicologo e i servizi sociali hanno voltato faccia a mio figlio e a me, tradendo ogni mia fiducia e alimentando i miei sospetti. Sono sconvolta.
Mio figlio sta per essere costretto a subire una serie di ribaltamenti della sua regolare vita da bambino tranquillo, rimbalzato ingiustamente in una situazione che a lui non deve portare il disagio che invece già si è creato nei primi incontri con i servizi sociali. Mio figlio rifiuta il padre, rifiuta il suo nome, mi dice addirittura che lo «odia» e si sente in trappola chiedendomi di proteggerlo.
Cresciuto per 10 anni in una famiglia sana e circondato dal pieno rispetto, chi può dargli torto.
La situazione emotiva e psicologica di mio figlio mi sta ovviamente a cuore prima di ogni cosa, ma ora è anche il momento di far uscire tutta una serie di «stranezze» e «assurdità» nel coro dei procedimenti legali e degli avvenimenti di questi anni. Le minacce ora stanno diventando sempre più concretizzabili nei miei confronti e nei confronti del bambino. Abbiamo bisogno di protezione mio figlio ed io, perché ci sentiamo nelle mani sbagliate e assolutamente non tutelati...

Ricevo costrizioni e minacce anche da parte degli operatori coinvolti.

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