Insomma, la notizia è questa: David Beckham, uno dei calciatori più pagati del pianeta e uno dei divi più global in circolazione, preferisce di gran lunga «avere tre veri buoni amici che venti buoni amici». Certo, al primo posto tra le cose importanti della sua rutilante esistenza c’è la famiglia, moglie e quattro bambini, genitori e persino i nonni. Tutto ok. Ma la differenza tra «veri buoni amici» e «buoni amici» sottolineata nell’intervista concessa all’edizione americana di Men’s Health è la considerazione che fa riflettere di più. Intanto perché il gettonatissimo David fa capire che si può essere saggi e con i piedi per terra nonostante si viva come nababbi a Los Angeles, tra passerelle e riflettori, tra un match con i Galaxy e il lancio di griffe di biancheria che tanto fanno sospirare le femminucce di tutte le età e latitudini. Qualche volta sono persone normali anche le star. Cioè: hanno una scala di sentimenti anche loro, come tutti noi che non abbiamo la testolina piena di grilli. Anzi, magari è proprio tutto il can can che li circonda, a farli selezionare sempre di più i rapporti, in cerca di persone davvero affidabili.
Dunque, in cima c’è la famiglia (per la quale, visto che nella Città degli angeli si trova bene, ha rinunciato al scintillante trasferimento al Paris Saint Germain). Poi gli amici veri, che sono sempre pochi. Tre veramente buoni, sono meglio di venti così così. «Questo è tutto ciò di cui ho bisogno», confida Beckham. E i numeri contano. Tre sono quelli a cui puoi confidare le faccende più personali, quelli sui quali puoi contare in ogni momento, anche nel pieno delle tempeste della vita (ne avrà attraversate anche Beckham?). La cifra è la stessa sfornata dai ricercatori americani del Tess (Time-sharing Experiments for the Social Sciences) al termine delle loro approfondite analisi: gli amici del cuore sono due o tre. Venti, invece, amici anche loro per carità, sono perfetti per una tavolata gogliardica, una partita di calcio o una giornata sulla spiaggia. Numeri analoghi erano stati forniti solo qualche mese fa da Robin Dunbar, antropologo a Oxford, secondo il quale «gli amici più stretti sono solo cinque». Anche se poi «c’è un nucleo allargato di quindici con i quali si ha una relazione importante ma meno intensa».
Ma non è solo il vecchio refrain, meglio pochi ma buoni. Il secondo motivo per cui l’uscita di Beckham è un tantino controcorrente è che viviamo nell’èra della «socialità» e della «liquidità». Continuiamo a esaltare le mirabilie di Facebook, peraltro inventato da un ragazzo perfettamente asociale. Invece ora si comincia a capire che conviene dare contenuto solido a quella parola. E che magari conviene impiegare il proprio tempo alla ricerca di amici sul serio. Una delle prime disattivazioni celebri era stata quella di Bill Gates. Nella lista di «contatti in attesa di approvazione» era impossibile distinguere tra persone davvero interessate e sconosciuti o scocciatori. Qualche mese fa, poco convinto dell’utilità dei rapporti alimentati in rete, Obama ha vietato alle figlie di chattare su Facebook. In Italia, tra gli altri, hanno fatto dietrofront Niccolò Ammaniti, Daria Bignardi e la iena Paolo Kessisoglu. Quest’ultimo con una motivazione ineccepibile: «È un mezzo che assicura la quantità e non la qualità». Anche la fresca vincitrice di X-Factor, la sedicenne Francesca Michielin, ha confessato di avere un rapporto tiepido con Facebook: «Ho solo dieci amici, quelli veri e i parenti. Ne avevo 14 ma ho fatto una selezione profonda».
Insomma, l’onda lunga dei social network inizia a rifluire sul bagnasciuga.
E poi, se lo dice pure Beckham...
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