La crisi è riuscita a piegare anche le imprese cinesi del distretto pratese. Negli ultimi sei  mesi, per la prima volta in 15 anni, il saldo fra ditte avviate e aziende cessate dagli  imprenditori orientali è negativo: 218 unità in meno. Lo confermano dai dati dell'osservatorio  provinciale sul lavoro. Gran parte dei 10.800 cinesi residenti in città, per la maggior parte  operai nelle ditte d'abbigliamento, sono stati licenziati e riassunti con forme alternative di  contratto. Un quinto degli occupati del comparto dell'abbigliamento - per il 96% nati in Cina -  in un anno ha cambiato più di un lavoro.
 Secondo i dati dell'osservatorio, la crescita del tempo determinato fra i cinesi presenta una  percentuale a 4 cifre: il 1.700% in dodici mesi. Difficile stabilire, fra regolare e sommerso,  il calo di fatturato delle confezioni cinesi. Dei 2 miliardi di euro stimati lo scorso anno, 200  milioni sono sfumati. Nell'ultimo trimestre 2009, secondo i dati dell'Unione industriale  pratese, l'export pratese di abbigliamento e maglieria, in buona parte cinese, è calato del  3,6%. Chi produce abiti ha abbassato i prezzi.
 Va peggio a chi lavora nell'import. I cinesi dicono che «c'è poco lavoro» e confermano i dati  Istat che a livello nazionale hanno registrato una contrazione annua del 18,7% dei capi prodotti  in Cina: 21 milioni di euro in meno. Sulla situazione economica tace il console generale a  Firenze Gu Hongling, che invita a chiedere «alle autorità pratesi». Pesano anche i controlli che  hanno fatto infuriare il console nelle ultime settimane e che hanno portato alla chiusura di  diverse aziende cinesi irregolari.
 «Il danno maggiore è per le aziende in regola - spiega però il dirigente italiano di una banca  che ha la sede in piena Chinatown -. I nostri correntisti cinesi incassano meno, soprattutto  perché penalizzati dalle notizie sui blitz che scoraggiano i loro clienti. Meno italiani e meno  commercianti dell'est europeo vengono a Prato a comprare dai cinesi perchè temono d'incappare in  fornitori irregolari e controllati. molte aziende cinesi chiudono a Prato e riaprono in Emilia».
  Non mancano i riflessi sociali.
Se anche i cinesi di Prato sentono la crisi
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