Politica

Se il contribuente "resiste" e non paga poi lo Stato finisce per dargli ragione

La storia delle vessazioni fiscali è ricca di esempi. La costante: recuperare il maltolto è una corsa a ostacoli

È bastato agitare da lontano lo spauracchio di una «resistenza passiva» al pagamento dell’Imu per far scandalizzare tutti i benpensanti che si sono affrettati ad alzare il dito e dire «non si fa». In condizioni normali non si deve nemmeno pensare di giocare a brigante con lo Stato, con cui ci dovrebbe essere un patto di reciproca lealtà, tuttavia possiamo dire che lo Stato si è meritato la fiducia che pretende? La risposta è assolutamente no, in realtà la lotta fra il cittadino e il fisco si è combattuta a colpi di furberie, dispetti, incostituzionalità palesi o latenti, piccole e grandi vessazioni che hanno sempre avuto come prima vittima il contribuente onesto. Non deve quindi stupire che quello stesso cittadino informato possa anche industriarsi a cercare scappatoie legali.
Si tratta molto semplicemente di una delle spiegazioni della «curva di Laffer» che teorizza come oltre un certo livello di tassazione il gettito invece di aumentare diminuisce perché il cittadino trova più conveniente trovare modi di eludere la tassa piuttosto che pagarla. Simmetricamente giova ricordare che il gettito aumentò di molto in quasi tutti gli Stati che decisero di introdurre una bassa aliquota unica. Rinviare il pagamento dell’Imu ha un costo, se pur minimo, e rappresenta un rischio, dato che nulla esclude che si possano inventare «sanzioni retroattive» o altre ideone, tuttavia non si fa nulla di male se si ripercorrono le storie degli obbrobri fiscali congegnati in passato da governi di ogni colore e che, alla fine, avevano premiato il contribuente «resistente». In Sardegna in molti si ricordano la famigerata «tassa sugli yacht» del poco rimpianto Soru, che era molto adatta al furore di una certa sinistra desiderosa di far piangere il ricco, ma era intelligente come un albergatore che inviti i clienti ad andare altrove. Ovviamente la tassa fu annullata e restituita e chi non aveva pagato alla fine si fece una bella risata. Sorte simile toccò all’analoga megatassa sulla nautica, prevista dall’infallibile e sobrio governo attuale e già smantellata dopo aver fatto fuggire mezza flotta dai nostri porti. L’assurda ritassazione sullo scudo fiscale è già stata rimaneggiata più del naso di Pinocchio per renderla almeno plausibile e alla fine non incasserà nulla se non il brillante risultato di aver certificato che dello Stato è meglio non fidarsi. Non andò bene nemmeno la geniale pensata dell’allora governatore siciliano Totò Cuffaro che inventò la «tassa sul tubo», in pratica un dazio sul gas che transitava sul territorio della regione: sconquassi in borsa sull’incolpevole titolo Snam Rete Gas e poi tutto finì in una bolla di sapone. Altrettanto ingloriosa fu la ritirata dalla devastante imposta di registro sostitutiva dell’Iva sulle proprietà, con il viceministro Visco costretto a chiedere scusa in Parlamento. Lo stesso Visco ideò un sistema di rimborso assolutamente bizantino ed inapplicabile per impedire (con successo) alle società di riavere 10 miliardi di euro di tasse pagate e non dovute, in quanto la Corte Europea dichiarò illegittimo un provvedimento del 2000 che impediva di detrarre l’Iva pagata per le auto aziendali.
Bello schema: lo Stato inventa una tassa illegittima, le imprese pagano, la Corte europea cancella il balzello e poi lo Stato congegna un regolamento capestro per impedire i rimborsi. Bel modo di pretendere lealtà dai contribuenti. E si che le regole per fondare un corretto patto fiscale sarebbero semplici: aliquote ragionevoli, nessuna tassa patrimoniale in quanto doppia imposizione (agisce su beni già tassati) e norme fiscali non retroattive così come esplicitamente previsto dallo statuto del contribuente.

Se invece lo Stato gioca a fare il furbo poi non si stupisca se anche altri vogliono giocare.
Twitter: @borghi_claudio

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