Ma se uno fa il poeta maledetto non può tornare sui suoi passi

DIGNITÀ Non è riuscito a fare cultura né a elargire intelligenza ma doveva andare fino in fondo

di Giordano Bruno Guerri

Quando è stato annunciato che Aldo Busi sarebbe andato all’Isola dei famosi, la notizia mi ha messo allegria, e l’ho scritto: è un grande scrittore, un uomo colto e intelligente, ha una visione mai banale delle cose, e avrebbe arricchito la trasmissione, quindi chi la guarda.
Io non l’ho guardata, se non di striscio facendo zapping, anche perché gli voglio bene e temevo per lui. Temevo che sarebbe finito per rimanere impigliato nei battibecchi beceri e nella miseria umana che - sempre – caratterizzano le esibizioni dei «naufraghi». Però ho letto i giornali, e ho visto qualche estratto, ieri a Quelli che il calcio. Il mio timore è diventato certezza. Lo stesso Busi ha dichiarato di andarsene perché si sentiva «esautorato, superfluo, inutile». La parola più penosa, perché più vera (e Busi non le usa a caso) è «esautorato», cioè privato dell’autorità e dignità che sono sue, quelle di intellettuale e scrittore, per molti un Maestro.
Esautorato - cioè privato del rispetto e del ruolo – Busi non è riuscito né a fare cultura, né a diffondere intelligenza. Lezioncine di trenta secondi come quella su Beccaria lasciano un orecchio appena entrate dall’altro, e l’intelligenza è andata sprecata in risse verbali da «zitella acida», come l’ha definito non ricordo più quale coisolana.
Credo si sia accorto di non uscirne come realmente desiderava, e che per questo abbia deciso di saldare i conti nell’orazione di addio. Quella dove - finalmente, come aveva promesso - ha attaccato i massimi sistemi, politici e religiosi. L’evidente riferimento al Papa, «omofobo» e quindi dannoso per la società è un pensiero molto diffuso, non solo in Italia, non solo fra gli omosessuali. Proprio ieri, combinazione, Ernesto Galli della Loggia sosteneva, sul Corriere della Sera, che l’irrisione e l’aggressività non sono «più solo appannaggio di ristrette cerchie di colti, come invece avveniva un tempo». Se si vuole andare contro la Chiesa in modo efficace, gli strumenti veri sono lo studio, la documentazione di errori e colpe passati e presenti, non gli slogan da piazza virtuale.
Tuttavia è abominevole la decisione di escluderlo dalle trasmissioni: a vita! (Busi sostiene che uno scrittore ha diritto a tre punti esclamativi in tutta la sua opera, gli do ragione e gli dedico uno dei miei tre). Espulso a vita. Come l’esilio dei Savoia, come un ergastolano. Suvvia. Del resto ci ripenseranno. Questo è il Paese dei pentiti e degli accomodamenti, per cui non ci vorrà molto per rivederlo sulla televisione pubblica.
Infatti, quel che a me dispiace di più in tutta questa vicenda è la lettera di Busi letta ieri da Simona Ventura: «Vengo accusato di “gravi violazioni delle regole e delle normative contrattuali”. E cos'avrei fatto o detto di così grave? Io so di aver rispettato fino in fondo gli impegni contrattuali che ho sottoscritto. Mi si attribuiscono offese a questo Papa il cui nome, come risulta anche dalla trascrizione del parlato, so di non aver pronunciato. (...) Quindi se i giornali hanno scritto che ho ingiuriato indirettamente questo Papa, di sicuro è che gli stessi l'hanno ingiuriato direttamente: nessuno deve arrogarsi il diritto di leggere nelle intenzioni, cosa del resto non riconosciuta da alcun tribunale, e io sono per carattere e per dialettica abituato ad aprire e a chiudere da me i miei sillogismi». È un argomentare da avvocato, mica da scrittore. Che peccato.


Si potrebbe dire che, se uno fa il «maledetto», lo deve fare fino in fondo. Preferisco dire che da Busi non mi sarei aspettato che indossasse i panni del «furbo». Proprio quelli che gli italiani indossano troppo spesso.
www.giordanobrunoguerri.it

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