Se il fallaccio è fra amici, adesso è reato penale

L’allarme grave nasce dal calcio professionistico e si fa sempre più pressante. Ma gli incidenti accadono spesso anche sui campetti di periferia, dove si gioca senza moviola, guardalinee, arbitri e spesso mancano persino i pali della porta, segnata da due mucchietti di stracci, per lo più i vestiti. Si gioca tra amici, per decidere chi pagherà il caffè o il bicchiere di vino. Qui non c’è giustizia sportiva a deliberare. E quando deve intervenire il giudice ordinario lo fa con mano pesante. È accaduto, per esempio, nella vicenda di due amici, Giovanni e Giuseppe, protagonisti di una sfida su una spiaggia siciliana: in un tackle scivolato, come si direbbe con pretenzioso linguaggio tecnico, Giovanni ha messo i piedi sulle ginocchia di Giuseppe, spaccandogli entrambi i legamenti rotulei.
Amici, si diceva, ma fino a un certo punto. Fino a quando, cioè, ne è nata una causa penale con la richiesta di danno civile. Sconfitto nei due primi gradi di giudizio, Giovanni ha presentato ricorso alla Corte costituzionale che, respingendolo e facendo giurisprudenza, ha stabilito che negli incontri tra dilettanti e persino nelle partite tra amici è necessaria «particolare cautela e prudenza per evitare il pregiudizio fisico dell’avversario».

In sostanza e uscendo dall’ampolloso linguaggio giuridico, colpire un avversario anche involontariamente e anche negli incontri sulla spiaggia che più amichevoli di così non si può, va configurato come reato di lesioni colpose. Ne sa qualcosa il nostro Giovanni che pagherà una multa di 200 euro.

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