Preambolo delle avventurose rivoluzioni culturali, che stanno abbassando la destra di Fini all'insignificanza e all'umiliazione dei suoi uomini migliori (Gianni Plinio, ad esempio) fu il fulminante abbaglio sessantottino, che si abbatté sugli scolari di Evola, già sconcertati dalle teorie deprimenti e confusionarie esposte in «Cavalcare la tigre».
Infatuati da un tradizionalismo ateo e vulnerabile a sinistra, gli evoliani travisarono il senso di una paradossale battuta di Giano Accame, che paragonava Evola a Marcuse, e di conseguenza credettero che le espressioni del pensiero ultramoderno (il nichilismo francofortese e il libertinismo californiano) fossero manifestazioni di un antagonismo sano e riconducibile alla rivolta della vera destra contro il mondo moderno.
La superficiale conoscenza e la disgraziata infatuazione per le idee diffuse da Marcuse, superato il cordone sanitario della labile cultura prodotta dalla strana «ditta» Almirante & Plebe, diedero inizio all'indiavolato movimento dei tradizionalisti a cavallo di tigri ultramoderne, e all'inseguimento dell'imperdibile tram della storia, che era passato attraverso la caciara anarcoide di Valle Giulia.
Movimento binario e confusionario, il tradizional-sessantottismo diede un importante contributo alla trasformazione della destra tradizionale, nell'orchestra babelica che ultimamente ha (dal gongolante Fabio Granata) il nome di «Fare futuro» e la sostanza di «fare fumo».
Nell'animo avventizio dei giovani almirantiani travestiti da cavalcatori di tigri ultramoderne, la miscela di temi controrivoluzionari e temi anarchici originò durature confusioni, entusiasmi immotivati ed indomabili propensioni alla fuga vero la violenza gratuita (negli anni di piombo puntualmente esercitata dai tigrotti mentalmente più vulnerabili).
Quando Alain De Benoist, evocato da Armando Plebe, scese in Italia per suscitare emozioni e consensi intorno allo slogan et destra et sinistra, gli immaturi apprendisti festanti nella scolastica tardo-evoliana erano già pronti a procedere, con una sola marcia, su due divergenti percorsi, et quello della contestazione globale et quello dell'estenuazione reazionaria.
Malauguratamente alla paradossale battuta di Accame, che avvicinava Evola a Benjamin, Adorno, Bloch, Marcuse e Taubes, era soggiacente una verità allora nascosta: oltre le ragioni estetiche e in fondo soggettive delle reciproche incompatibilità, concomitanti riferimenti a tradizioni (cabale) eterodosse e a filosofemi crepuscolari, giustificavano l'accordo sotterraneo tra le due diverse e concorrenti scuole postmoderne d'irreligione.
Dagli opposti capiscuola, infatti, era apertamente condivisa la stima per la dottrina di un antico precursore dei maestri del sospetto, l'eresiarca Marcione Pontico.
Quasi obbedendo alle regole della concordia discors, i teorici della contestazione globale e i banditori del tradizionalismo rivoluzionario, avevano dedotto dalla dottrina di Marcione la propensione all'immoralismo e la fanatica ostilità verso la teodicea e la rivelazione biblica.
La fonte comune dei pensieri convergenti da sinistra a destra e da destra a sinistra, infatti, era quel «cristianesimo tedesco», che aveva attualizzato l'eresia Marcione trasferendola dai ponderosi e astratti commenti di Hegel, Schelling e von Harnack ai tumultuosi stati d'animo di Arthur Rosemberg e degli iniziati (oggi diventtati filo islamici e vu' inizià?).
Religione ad uso delle masse fanatizzate, il cristianesimo tedesco contemplava una divinità straniera e remota, che avrebbe rivelato la dottrina libertaria, opposta per diametrum alla legge dettata a Mosé e a Israele.
Di qui l'ingresso sull'agitata scena europea, di una teologia antisemita, contemplante il cristianesimo nemico mortale della tradizione veterotestamentaria e del popolo d'Israele.
La rilettura di Marcione, in definitiva, ha insegnato ai nazisti la ricetta di un antisemitismo travestito da fede cristiana e ai francofortesi la via che dalla destra pseudo-mistica e razzista conduce all'ateismo e alla sovversione ultracomunista. Due sentieri dell'errore parallelo e convergente.
Fatto singolare, finora non considerato con la dovuta attenzione dai politologi, è il giro tortuoso della fede in Marcione dai circoli del nazismo profondo alle agenzie culturali che ispirano la sinistra postmoderna.
Per giustificare l'acrobatico passaggio, il rabbino Jacob Taubes, il principale interprete del sessantottismo europeo, approvò l'avversione dei nazisti alla teologia veterotestamentaria, sostenendo (quasi in continuità con il rinnegamento di Mosé da parte di Freud) che prima di Mosé, la spiritualità ebraica aveva un indirizzo anarchico e immoralistico. Dunque che l'ideologia nazista era l'involontaria levatrice della vera coscienza progressista.
Ulteriore elemento di confusione a destra fu la strana rilettura di Nietzsche, che negli scritti dell'ultimo Evola era esaltato quale portatore di un «nichilismo attivo», inteso alla negazione globale dell'esistente. Trascinato dall'illusione di diventare attuale, Evola giunse al punto di credere seriamente che, predicando la «negazione di tutto l'esistente» (cioè la contestazione globale) si attuasse «una severa disciplina (tradizionalista!) portata fino agli estremi».
Le critiche dell'on. Sandro Bondi al frullato ideologico messo sul piatto dei poveri dagli intellettuali di «Fare futuro» hanno il solo difetto di non contemplare lo spaventoso delirio evoliano a monte del Fabio-Granata-pensiero. Bondi non conosce la vicenda della cultura di destra, non sa che il tentativo di suicidare la destra correndo incontro ai fantasmi della sinistra post-marxiana era dettato dall'equazione Evola=Marcuse.
Ora Fini è vittima di una sindrome di Stoccolma, la sindrome almirantiana-rautiana, che lo ha consegnato ai distruttori (nichilisti) usciti dalla scuola del pensiero bicamerale recitante et destra et sinistra.
Quando Bondi si accorgerà che il più alto guadagno del centrodestra sarebbe lasciare per strada Gianfranco Fini, i suoi farneticanti consiglieri e le donzelle in libera uscita dalle più chiacchierate alcove.
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