Politica

«Se faremo i portatori d’acqua sarà meglio rientrare subito»

Fausto Biloslavo

Ventiquattro anni dopo i soldati italiani torneranno in Libano. Nel 1982 il nostro contingente era comandato dal colonnello Franco Angioni, nome in codice Condor, poi diventato generale e parlamentare dell’Ulivo. Grazie alla sua esperienza spiega al Giornale cosa ci aspetta nel paese dei cedri.
Generale, nel 1982 Hezbollah stava nascendo. Lei pensa che si tratti di un partito politico, di guerriglieri o di terroristi? «I “figli di Dio” nascono da una costola oltranzista dei pasdaran iraniani durante la guerra con l’Irak. Nel 1982 sono stati mandati in Libano contro l’odiato Israele. Furono gli Hezbollah che indirizzarono, concepirono e guidarono gli attentati alla forza multinazionale che colpirono francesi e americani. Avrebbero festeggiato se fossero riusciti a colpire anche gli italiani. Invece eravamo preparati avendo alle spalle dieci anni di lotta contro il terrorismo delle Brigate rosse e adottammo le contromisure del caso».
Adesso gli Hezbollah sono più guerriglieri o terroristi?
«L’uno e l’altro, ma Hezbollah adesso è costituita da libanesi e ha ministri nel governo di Beirut. La componente iraniana è rappresentata dai consiglieri politici e dai tecnici militari per le armi ad alta sofisticazione. Gli Hezbollah sono guerriglieri per quanto riguarda le capacità operative e terroristi quando compiono azioni particolari sempre sotto l’ispirazione dei loro maestri».
Cosa pensa del comando Onu della missione e perché non è stato scelto quello Nato come in Afghanistan?
«Per quanto riguarda la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu si tratta di un compromesso verso il basso che deve accontentare tutti. Comunque non dobbiamo fare un Unifil 2 (l’attuale missione Onu nda) rimanendo altri trent’anni in Libano. Il comando Nato non è stato scelto per motivi politici. Dal punto di vista internazionale nella Nato ci sono gli Stati Uniti che hanno chiarito di non voler partecipare a questa missione. Ci sono anche motivi interni perché qualche organizzazione politica italiana ritiene che la Nato non sia adatta a svolgere azioni sostitutive delle Nazioni Unite».
Non disarmeremo Hezbollah. Significa che evitiamo di risolvere il problema principale?
«Sostanzialmente sì, ma per come stanno le cose in questo momento chi partecipa a questa missione non può pensare di disarmare Hezbollah. Se accettassero il disarmo dev’essere l’esercito libanese a realizzarlo. In questo caso potrebbero venire raccolti i rottami, ferri vecchi, da portare al macero in maniera tale che la coscienza internazionale si senta a posto, mentre le armi vere saranno custodite fino a nuovo ordine. Se invece si dovesse verificare un disarmo con la forza bisogna tenere conto che l’esercito libanese è composto nella stragrande maggioranza da soldati di truppa sciiti. Invece ufficiali e sottufficiali sono soprattutto cristiani e drusi. Di conseguenza se venisse ordinato di andare nei cunicoli, nei depositi a scovare le armi di Hezbollah i soldati sciiti si rifiuterebbero e potrebbe scoppiare la guerra civile».
Il ministro Parisi ha parlato di una missione lunga, costosa e molta rischiosa. Condivide questa analisi non molto ottimista?
«Rispecchia quello che ho detto fino ad ora. Però se un paese ha dimostrato tanto entusiasmo a voler andare in Libano e a un certo punto ci si rende conto che si fa da portatori d’acqua a una parte o all’altra, allora la presenza dei militari italiani potrebbe essere non solo inutile ma controproducente.

Portata a termine la missione umanitaria e di ricostruzione bisognerà rientrare a casa».

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