Se Fini latita e scarica i suoi doveri sul Quirinale

La pratica fondamentale di un’ampia parte di una sinistra italiana sempre più allo sbando, delle sue nomenclature postcomuniste senza più bussola, dei numerosi e attivi squadristi-giustizialisti, di alcuni arroganti commentatori della grande stampa che innanzi tutto si considerano padroni della Costituzione, è usare quel che comunemente unisce una nazione per, invece, dividerla: sventolando spesso nello stesso tempo con grande faccia tosta il tema della necessità della condivisione delle scelte fondamentali. Dovunque nelle nazioni più civili si cerca di compattarsi intorno alla «bandiera», qui il tricolore è sollevato in tante occasioni come un’arma contundente contro gli «altri», dovunque si lavora per serrarsi intorno all’amor patrio, da noi questo «amore» viene usato per scomunicare gli «altri», dovunque si punta sui valori di una Costituzione nazionale per costruire concordia, in Italia si adopera, con toni particolarmente causidici, la lettera dei singoli articoli per affossare ogni dialogo. Si è arrivati persino a rifiutare da parte delle opposizioni, anche quelle più moderate, di votare insieme su una politica estera su cui sostanzialmente si convergeva.
Ora è in atto anche il tentativo di strumentalizzare il presidente della Repubblica per finalità di fazione: anche se un esperto politico come Giorgio Napolitano che ne ha vissute tante nella sua esistenza sfugge ai trucchi retorici che tentano di imbrigliarlo. Eppure, le sue ultime uscite sulle tensioni a Montecitorio e le mosse forti messe in campo dal Quirinale convocando i capigruppo parlamentari, sono state presentate come un viatico allo scioglimento delle Camere. In realtà il capo dello Stato si è trovato nella necessità di sopperire a una mancanza del presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini e ha dovuto forzare i toni per ripristinare un clima decente in Parlamento.
È evidente che se un bivacco di manipoli dipietro-travaglieschi aggredisce membri del governo di fronte a Montecitorio, a guidare la risposta indignata delle istituzioni avrebbe dovuto essere chi ha precisamente questo tipo di compito: difendere la dignità della Camera dei Deputati. Se invece Fini è troppo impegnato fra la campagna elettorale della sua asfittica nuova formazione e vari pasticetti ancora in campo per battere per via extra politica Silvio Berlusconi, se il presidente della Camera l’unica cosa che riesce a fare è essere esemplarmente fermo con gli «aggrediti», allora «la surroga» di Napolitano diventa preziosa.


Non è male dunque che nell’occasione presentatasi in questi giorni, sull’esigenza di serenità nella discussione politica ci si sia uniti intorno all’antico gentiluomo già comunista oggi al Quirinale, mentre si impegna in atti particolarmente costruttivi, però questo omaggio non può servire a nascondere le ambiguità del nevrotico già neofascista presidente di Montecitorio che rafforzano quel certo effetto disgregatore della società italiana già alimentato da più di una procura ultramilitante.

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