Se la «fuga» di cervelli diventa un film

«Il mio nuovo film? Affronta uno dei problemi più attuali, cioè lo stato della ricerca nel nostro Paese e la fuga dei cervelli italiani all’estero...». Ettore Pasculli, 59 anni da Cutro (Crotone), laurea in architettura, padre del cinema digitale (è stato il primo nel 1990 in Europa a girare senza pellicola: tra i venti titoli si ricordano «La fabbrica del vapore» del ’99, «Cacciatori di storie.it» del 2003 e «L’amico segreto» del 2006)), domani sarà a Venezia per la 66esima Mostra internazionale d’arte cinematografica, dove verrà presentato il suo ultimo lungometraggio: «Il Bene Oscuro, la ricerca, la vita», un progetto promosso dall’Istituto scientifico San Raffaele e da Bayer e prodotto dall’associazione no-profit No Cib. Novanta minuti per una vicenda che solleva mille e uno interrogativi, che a un certo punto sul grande schermo prende una china drammatica ma alla fine si conclude con la speranza: «Quando c’è l’amore la vita prevale sempre, anche nei momenti più drammatici». La storia è ambientata nella nostra città. «C’è Eugenio, un giovane ricercatore di medicina molecolare che, quasi arrivato a scoprire la cura per la leucemia fulminante, a causa di continui attriti con l’ambiente accademico è costretto a emigrare in Germania - racconta il regista -. Ritornato in Italia, ritrova il suo amore, una pattinatrice, che si ammala proprio della patologia sui cui lui sta lavorando e che resta pure incinta. Ci sarà una corsa contro il tempo...». L’inizio del film si capisce solo alla fine. Un uomo di una certa età è seduto e guarda le evoluzioni sul ghiaccio di una giovane danzatrice: sarà sua figlia? Il ricercatore Eugenio (Daniele Ornatelli), la ballerina Daria (Lorena Salvino), il papà di Daria (Fabio Bonaccio); sono alcuni dei personaggi centrali della vicenda. «Interessante la figura dell’idraulico - spiega -. Sarà lui a stare vicino al giovane scienziato, a incoraggiarlo, a dargli la spinta con la sua presenza semplice ma affettuosa, sincera e didinteressata». Il palcoscenico sono le vie e le piazze: scene sulla Vigevanese, in zona Garibaldi e, naturalmente, al San Raffaele. E tra un ciak, e l’altro tante piccole e grandi storie. «Ogni film è un’avventura dentro e fuori dal set - ricorda Pasculli -; non mancano i momenti di difficoltà e, perché no, anche di ilarità». Giorni e giorni passati al palazzo del ghiaccio a girare, con l’attrice talmente intirizzita dal freddo da non riuscire più a parlare. Tante scene nell’ospedale San Raffaele, «dove c’è persino capitato di rimanere tutti chiusi dentro», racconta divertito. Poi il rapporto con la gente «che quando abbiamo lavorato all’esterno ci ha bombardato di domande, incuriosita dal titolo del film riportato sui mezzi della produzione». La pellicola, che a conti fatti è costata solo 150mila euro («quando ci sono idee e volontà si riesce a portare avanti progetti anche senza tanti soldi») e che a fine settembre approderà a Milano, vuole filosoficamente alludere al «bene oscuro che esiste ma che dobbiamo portare alla luce - continua Pasculli -. Al contrario dei tempi che corrono in cui prevale l’abitudine di mettere sotto i riflettori solo il male».

Tutta l’operazione, dove l’azienda Bayer e il San Raffaele hanno ovviamente un ruolo determinante, oltre «a essere un’azione di tipo culturale e sociale», è mirata anche alla raccolta di fondi per il progetto «Challange in Oncology» sulla ricerca e la cura dei tumori dell’istituto scientifico universitario di Segrate.

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