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Se il giudice non lavora perché nell’aula ha visto un crocifisso

Caro direttore,
ho letto in questi giorni di quel giudice che si era rifiutato di giudicare in aule in cui fosse presente un crocifisso. Successivamente, a fronte di una denuncia circostanziata, è stato assolto, o per meglio dire la sua pratica è stata archiviata. Orbene, valutiamo la cosa da questi punti di vista:
1) questo giudice è superstizioso e non vuole vedere «feticci» di qualsiasi genere, neanche un crocifisso. In questo caso detto giudice non è adatto a giudicare perché se si presenta un imputato che porta dei portafortuna, che so un cornetto rosso un crocifisso o altro, lui sarà di parte e non giudicherà obiettivamente. E poi, cosa farà questo giudice, non farà sentenze il 13 e il 17 del mese? O non le farà il martedì 13 o il venerdì 17? Oppure applicherà il detto «Né di Venere, né di Marte non si lavora e non si parte (modifica di licenza poetica)» e in quei giorni farà festa o che altro. Assurdo.
2) Questo giudice è semplicemente ateo, ma facendo prevalere le sue convinzioni, non sarà mai equanime se si presenta un credente, sia esso di qualsiasi religione, il quale per un qualsiasi motivo ostentasse il suo credo.
3) Egli è per motivi suoi ostico alla religione cattolica. In questo caso non potrà mai giudicare equamente una persona credente sui cui documenti fosse scritto che è di religione cattolica.
4) Quarto, ma non ultimo motivo, qualsiasi giudice che manifesta apertamente o no antipatia per qualcosa o qualcuno (ma questo vale anche per quei giudici che manifestano particolari simpatie o partigianerie) non può avere titolo a giudicare con questi sentimenti, perché porrebbero grossi impedimenti a sentenze equanimi. Oltretutto, il giudice in questione, è andato contro il 90 per cento della popolazione italiana che si dichiara credente pur se non praticante. Io, anche se non sono cattolico, non vorrei mai trovarmi sotto le grinfie di un giudice siffatto.
Spero tanto che questa mia sia adatta ad essere pubblicata perché ritengo scandalosi anche i giudici della Consulta che hanno archiviato il tutto.

La sua lettera è adatta ad essere pubblicata. E io ci aggiungerei solo una piccola riflessione che abbiamo fatto in redazione l’altro giorno quando è arrivata la notizia. Si tratta di questo: se passa questo principio, cioè che un giudice può non lavorare perché c’è nell’aula del tribunale qualcosa (qualsiasi cosa) che gli dà fastidio, beh, sarà difficile trovare un giudice che alla fine lavora. Per dire: c’è un testimone con la maglia viola? «Ah, io vado a casa: non tollero quel colore». C’è un imputato biondo? «Ah, io vado a casa: la mia etica mi impone di fare sentenze solo per i bruni». C’è un avvocato con gli occhiali? «Ah, io vado a casa: in base alla mia religione personale posso accettare l’arringa solo da chi ha dieci decimi da entrambi gli occhi». I magistrati già godono di lunghe ferie e orari non propriamente massacranti. In questo modo avrebbero anche un benefit in più: il diritto alla fannullaggine sulla base di un qualsiasi pretesto. Ma poi il principio potrebbe essere esteso anche fuori dall’aula del tribunale.

In effetti, se vale per i giudici, perché non dovrebbe valere per gli altri dipendenti pubblici? Un impiegato del catasto, per dire, potrà rifiutarsi di lavorare se nella stanza c’è un crocifisso? E se la collega ha la maglia viola?

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