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Se i banchieri badano al tesoretto

Gli organismi di controllo sono solo strumenti di potere. La presenza pubblica può creare un circuito virtuoso

Se i banchieri badano al tesoretto

Va bene. È ora inevitabile affidare a Mario Monti – speriamo per il tempo più breve possibile – l’esecuzione di provvedimenti urgenti per impedire il crollo politico-economico dell’Italia.
Certo, poi, il governo assolve al compito con malagrazia: l’arroganza di Elsa Fornero su pensioni di anzianità e femminili (e ora si appresta a fare altrettanto sui redditi garantiti credendo di abitare a Copenaghen invece che nel Paese di Napoli e Roma) provoca disgregazione sociale non necessaria.
Altri cedimenti invece demagogici determinano fughe di capitali quando più servirebbero investimenti.
Svuotare la sovranità popolare produce simili effetti. Ora si tratta però di far sì che questo nuovo governo Badoglio, etero-diretto ma finalizzato a ricostruire la democrazia, non diventi un esecutivo Facta, cioè preambolo di avventure.
La prima sfida è temperare la prepotenza dei supertecnici e di chi li ispira. Se si rapinano le vecchiette per consolidare il sistema bancario, bisogna comprendere che gli effetti sull’opinione pubblica possono essere devastanti. Qualsiasi persona di buon senso sa che se falliscono le banche, il disastro non si limita agli uomini della finanza.
Però in tanti non sono disposti a tollerare sacrifici indirizzati non solo a salvare l’economia, ma anche sistemi di potere apparsi largamente nocivi.
La Seconda Repubblica è segnata dallo strapotere di due soggetti quasi irresponsabili: magistratura e grandi banche.
Queste ultime in larga misura poggiano la governance su istituzioni - le fondazioni bancarie, non per nulla nate col governo praticamente tecnico Amato sulla base di emergenze reali come le crisi di istituti tipo Banco di Napoli, ma gestite nell’irresponsabilità politica e dunque con le soluzioni peggiori – che hanno fallito i loro obiettivi: non solo deprimono i sostegni - il loro scopo sociale - a un welfare integrativo, ma sorreggono un sistema di credito dove al posto di fantastiche casse di risparmio che affiancavano le piccole e medie imprese, a efficacissimi mediocrediti, a banche d’affari eccellenti, a centri studi formidabili, a istituti che primeggiavano all’estero, vi sono banche in cui dominano speculazione, rendita urbana, infrastrutture gestite in modo oligopolistico.
Alla fine la principale specializzazione della parte egemonica del sistema fondazioni-grande banche è diventata l’acquisizione di potere: prima attraverso i giornali, poi persino con Confindustria e ora anche con il governo.
In una situazione in cui il rapinare le vecchiette e il tradire i patti con i propri concittadini consente scelte brusche sarebbe opportuno pensare a operazioni straordinarie sul patrimonio di fondazioni che privatistiche nella forma raccolgono patrimoni eminentemente pubblici.


E sulla base di simili operazioni, organizzare anche una più diretta presenza dello Stato nei capitali delle banche (come in Gran Bretagna e in Francia, e come da sempre in Germania) per garantire un intervento a sostegno dello sviluppo da parte del sistema di credito.

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