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Se gli inglesi «schedano» gli italiani

Sta facendo rumore la notizia del questionario di alcune scuole inglesi nel quale si chiedeva agli alunni di provenienza italiana se fossero italiani e basta, italiani napoletani o italiani siciliani. Il Tg3, che solitamente ammira ogni «diversità», ha intervistato alcuni napoletani scandalizzati. Premesso che il sottoscritto detesta i regionalismi, e premesso che negli Usa da sempre i nostri emigranti usavano distinguersi tra italiani e siciliani, osservo: sono decenni che saltano fuori presunti intellettuali e politicanti i quali ripetono la lagna secondo cui «il Sud è stato sfruttato dopo l'Unità», «il Napoletano è una vera lingua», «la Sicilia non è Italia perché esisteva da molto prima». Non è dunque strano che alla fine qualcuno all'estero abbia recepito tali pseudonozioni e ne faccia uso. Se dunque a Napoli e in Sicilia c'è chi tiene tanto a distinguersi dal resto d'Italia perché adesso si scandalizzano? Quando fa comodo ci si ricorda di essere italiani e quando non fa comodo non lo si è più?

Luca Pignataro

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Caro Luca, non credo che la classificazione proposta dai questionari delle scuole e università inglesi si rifaccia al Regno delle Due Sicilie annesso con la forza a quello Sabaudo. Né alle flebili aspirazioni indipendentiste o autonomiste delle due regioni. Ho un malizioso sospetto e, sa com'è, a pensar male spesso la si azzecca. Campania e Sicilia hanno certamente esportato in Europa e nel mondo sensibilità culturali tra le più raffinate. Così come campani e siciliani si sono fatti conoscere un po' ovunque per le loro capacità imprenditoriali e molti di loro hanno fatto fortuna all'estero.

Ma è innegabile che Campania e Sicilia hanno esportato con successo anche mafia e camorra, due delle organizzazioni criminali più spietate ed efficienti del continente. Cosa che, ovviamente, mette in allarme i nostri vicini. Che sia questo il vero motivo della «classificazione»? Ah, saperlo.

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