di Cristiano Gatti
Piace a tutti, Ciro Ferrara. Piaceva soprattutto da giocatore, azzurro del Napoli e della nazionale. Piace talmente, come volto universale, da essersi goduto anche nei panni dellallenatore una cambiale a scadenza illimitata. Una cambiale così elastica e benevola che nessun allenatore potrebbe mai sognarsi. Nemmeno Mourinho, ammettiamolo: se Mourinho avesse perso tutto quello che ha perso sinora Ferrara, sarebbe già a insultare arbitri e giornalisti da qualche altra parte.
Adesso però la cambiale di Ferrara è scaduta. Con un certo dispiacere, ma bisogna dirlo. Davvero cè qualcuno che griderebbe allo scandalo se Ciro fosse esonerato? Purtroppo, anche in questo caso, si tende a infarcire i ragionamenti sul ruolo dellallenatore con una dose di conformismo e di ipocrisia che non ha alcun fondamento. Narra la leggenda che quello del mister sia il ruolo più infame nelliconografia classica del calcio. Viene identificato come il capro espiatorio e la vittima innocente di tutte le situazioni critiche. Una povera gioia. E quando viene esonerato, partono i soliti pistolotti: non è giusto, le responsabilità sono da spartire con la società, che centra lallenatore se in campo ci vanno i giocatori...
A prescindere da Ferrara: vogliamo dire che questo genere di litanie ha un po rotto lanima? Con lesasperazione che si è creata, con il clima che si respira in giro, non è più vero che «a pagare è sempre e solo lallenatore». Questa frase è un pezzo dantiquariato, ormai. È un fossile. La verità è che oggigiorno sono tutti nel frullatore allo stesso modo. I giocatori non pagano mai? Basta chiedere ai Balotelli, agli stessi Del Piero e Felipe Melo: un paio di partite sbagliate e si passa in panchina. A fine stagione, magari, si passa oltre. Basta pensare ai portieri: chiedere ai Dida, solo fino a qualche tempo fa. E chiedere anche agli arbitri: per cornuti e venduti che siano, vivono perennemente davanti al plotone desecuzione.
Questo è il clima, ma in questo clima siamo tutti pronti a esprimere concetti molto alti: purtroppo, diciamo indignati, conta solo il risultato. Tutti vogliamo vincere, tutti ne facciamo una malattia, ma tutti ci scandalizziamo se «alla fine contano solo i risultati». E che cosa dovrebbe contare, nel calcio? Certo, il bel gioco e lo spettacolo: sappiamo raccontarcela bene. Ma basta provare: se la squadra gioca bene e perde, il divertimento non ci appare più così esaltante.
E allora sarebbe anche il momento di piantarla, con i luoghi comuni che servono solo a fare stupida retorica sportiva. Sarebbe ora che pure gli allenatori la smettessero di pretendere una zona franca, unisola felice, una panchina da Peynet, dove non passa mai una nuvola e non scoppia mai un temporale. Questo è il calcio doggi. Questa è la regola, questa è lelettricità del magico mondo che frequentano. Se è vero che qualche presidente si fa prendere la mano, è altrettanto vero che molti allenatori riescono a compiere disastri immani, prima di rimetterci il posto. Dicono loro, quando fiutano una certa aria: in campo ci vanno i giocatori. Nessuno può dire il contrario, però dobbiamo metterci tutti daccordo: o il mister conta moltissimo e lascia unimpronta decisiva, oppure contano solo i giocatori e il mister incide poco. Non è che possiamo procedere a giorni alterni, come quando le polveri sottili sforano i limiti. Qui succede che in sede di trattativa, per spuntare i due, quattro, sei milioni di euro a stagione, il mister si presenta come un mago. E se i risultati arrivano, «si vede la mano del mister». Quando però il vento cambia, dovremmo accettare che il mister conti poco, «perché in campo ci vanno i giocatori», lui poveraccio che ci può fare...
Vedi Ferrara. Avrà tutte le attenuanti del mondo, ma il bonus è ampiamente esaurito. Per molto meno, Ranieri sarebbe già impalato in piazza San Carlo. Per molto meno, lhanno amabilmente silurato.
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