Non è il caso di infierire, perché già sono abbastanza scossi e rintronati dallo tsunami. E tuttavia qualcosa bisognerà pur dire a questi nostri cervelli dell'alta finanza, che da giorni stanno affrontando senza risparmio di energie, di cravatte allentate e di caffè ristretti l'onda devastante della crisi: ragazzi, senza offesa, tutto qui quello che sapete fare?
Forse la delusione di noi risparmiatori dipende ancora da una nostra colpa, dall'averli cioè sempre mitizzati e idolatrati, scambiando la nostra banalissima ignoranza dei meccanismi economici con una loro inarrivabile facoltà taumaturgica. A un tizio che non riesce nemmeno a svitare il tappo della benzina, il semplice meccanico sembrerà sempre un Einstein della fisica. Così il nostro atteggiamento nei confronti di questa brava gente degli uffici studi, dei consigli di amministrazione, delle stanze dei bottoni. Per noi che fatichiamo a capire come funziona un pronti contro termine, il loro grande gioco di acquisizioni e di globalizzazioni risulta scienza sublime ed esclusiva. Sì, inutile negarlo, è pure colpa della nostra ignoranza: così impariamo a pensare che l'economia sia una questione estranea alla nostra vita, astrusa e ipertecnica, tra l'altro noiosissima. Vuoi mettere le sane discussioni sul 4-4-2 e le appassionanti lotte per buttare fuori Cristiano Malgioglio dall'Isola dei Famosi?
Ecco, mentre noi rifiutavamo di studiare un minimo le vicende economiche, allontanandole dalla porta con un puah, le vicende economiche rientravano inesorabilmente dalla finestra. La casta cui avevamo appaltato i nostri soldi e i nostri destini costruiva lo stupendo capolavoro che adesso contempliamo. E individualmente paghiamo.
Come dimenticare? Sembra ieri. Perché era ieri. Ci assicuravano che il mondo evoluto poteva tranquillamente dedicarsi a gestire e trafficare soldi, come in un simpatico gioco di Monopoli, lasciando le mansioni manuali e faticose ai primitivi del Terzo mondo. Infatti: adesso siamo tutti qui a rimpiangere i bei tempi del manufatturiero, del lavoro e della fabbrica, dei muri e dei macchinari, dei trapani e delle alesatrici, cioè delle cose concrete che per quanto vetuste mantengono sempre un loro intrinseco valore.
In tutto questo, da loro si aspettava almeno una parola rassicurante. Un aiuto concreto. Qualche mossa decisiva. Umano, da parte nostra: dopo il disastro combinato, ci si attendeva dal circolino dell'alta finanza almeno una pronta riscossa. Persino infantile, il nostro ragionamento: va bene, hanno sbagliato, ma adesso si rimboccano le maniche e rimettono le cose a posto. Magari non sono infallibili e geniali come si pensava, ma restano pur sempre dei supertecnici. Ce la faranno. Qualcosa inventeranno. Questo, con ansia, ci aspettavamo da un momento all'altro.
Niente da fare. Dopo aver miseramente ciccato l'edificazione del loro mondo incantato, stanno penosamente fallendo anche le operazioni di salvataggio. È agghiacciante: noi pendiamo ancora dalle loro labbra, tutto quello che riescono a dirci è «non fatevi prendere dal panico, state fermi, non toccate niente». Bravi, però. Più che altro, sofisticati. È come se di fronte a una crepa nella diga gli esperti dell'alta ingegneria, allargando le braccia, laconici invitassero tutti quanti a compiere un'unica operazione: provate a infilare il dito nel buco, magari tiene.
Diciamolo: il nostro senso di frustrazione cresce di giorno in giorno. È immenso. Abbiamo un apparato complesso e impazzito, come un computer imballato, per questo chiamiamo disperati i tecnici: quelli arrivano, trafficano una quarantina di minuti, quindi pronunciano la fatidica frase: «Spegni e riaccendi». Ma come: io ripongo umilmente in te tutte le mie speranze, io confido nella tua superiorità tecnica e intellettuale, tu riesci soltanto a dirmi «spegni e riaccendi»?
A questo, ora, le nostre ansie sono ridotte. Avremmo tanto bisogno di qualcuno che ci dica come e cosa fare, tutto quello che sanno dirci è di stare fermi. Però, la competenza. Qualcosa di simile, senza tante convention e senza tanti master, senza tante Cernobbio e senza tanti cda, aveva già detto tempo fa un argutissimo napoletano: a da passà 'a nuttata.
Siamo alla finanza di Eduardo, questa la verità. I divi dell'economia, insuperabili nel trovare nomi bellissimi a qualunque bischerata, lo definirebbero riposizionamento prudenziale d'attesa. Chiamato col nome giusto, è il solito fatalismo. Può essere una soluzione, niente di più facile. Ce lo auguriamo tutti quanti.
Cristiano Gatti
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