Bruno Fasani
È passato un anno da quando il popolo italiano, chiamato ad esprimersi con un referendum, aveva detto no alla modificazione delle legge 40, riguardante la delicata materia degli embrioni e la ricerca scientifica in questo ambito. Lesito della consultazione, che esprimeva un voto trasversale rappresentante il 75% degli elettori, sembrava una sorta di pietra tombale sulle velleità etiche, in libera uscita, di certo orientamento politico. Ma non sempre due più due fa quattro, così come non sempre la democrazia rispetta i numeri. Con la disinvoltura di un acrobata, il ministro per lUniversità e la ricerca, Fabio Mussi, ha ritirato la firma dellItalia dalla «dichiarazione etica» europea, sottoscritta il 29 novembre scorso, che poneva una pregiudiziale ai finanziamenti per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Erano sei gli Stati che avevano aderito a questa cosiddetta «minoranza di blocco»: Germania, Austria, Italia, Polonia, Slovacchia, Malta.
Nobile, almeno nei toni verbali, la giustificazione del ministro: «È ingiusto che lItalia ponga un ostacolo restrittivo alla ricerca europea e tenti così di esportare la propria legislazione interna». Il dio della democrazia è così servito. Peccato che esso abbia le sembianze di un Giano bifronte, pronto ad assecondare i diritti della ricerca, salvo smentire il 75% degli italiani che su questo tema la pensano in maniera assolutamente diversa. Mussi non sembra neppure sfiorato dal problema etico, quello che porta la società a chiedersi se davvero la persona umana continui ad avere una sua sacralità ed una sua originalità, o se non sia piuttosto un essere vivente qualunque, cioè un animale tra animali. La recente proposta di riconoscere i diritti umani alle scimmie, avvenuta nellilluminata Spagna di Zapatero, sembra qualcosa di più serio di unuscita estemporanea di buontemponi. Del resto sono ormai molteplici le scuole filosofiche che si stanno posizionando su queste posizioni, con lesito scontato che la difesa di un orso trova uguale o maggiore accoglienza di quella di una creatura. È in questo orizzonte che un cattolico non può fare e farsi gli sconti di scorciatoie culturali, consapevole che il controllo della ricerca e la difesa della sacralità della persona non sono i nemici del progresso, ma costituiscono lunica garanzia perché la persona diventi fine e non mezzo della ricerca stessa. Tanto più che la scienza è qui a testimoniarci che il ricorso alle cellule staminali adulte o al sangue di cordone ombelicale ha consentito risultati assolutamente attendibili, senza bisogno di ricorrere alla distruzione di embrioni umani. Certamente limperativo morale ci porta a considerare la sacralità della vita, ma, in questa circostanza, il problema etico lambisce la stessa dimensione politica.
È il presidente del Consiglio a doverci dire se la decisione del suo ministro, che di fatto ha coinvolto a livello europeo il governo e lItalia, rientra nel programma sottoposto agli elettori e a quelli cattolici in particolare. Prodi non può disconoscere la funzione di garanzia che la sua faccia di cattolico ha giocato presso molti cittadini. Chiedergli ragione di questa scelta è molto più di una sfiziosa rivendicazione moralistica. È piuttosto un domandargli di sfuggire alla logica del «passata la festa, gabbato lo santo», confinando la fiducia dellelettore tra gli optional delle strategie per arrivare al potere.
Una seconda questione etica porta anche a chiederci quale rapporto ci sia, nella logica della democrazia, tra maggioranza e minoranza. Se è vero che bastano ventimila voti di scarto per governare un Paese, è legittimo chiedersi con quale morale si possa snobbare il 75% degli italiani, smentiti dopo neppure undici mesi, da quando hanno espresso la loro volontà popolare.
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