Se l’integrazione apre la porta all’integralismo

Rino Cammilleri

Il disegno di legge che intende dimezzare i tempi perché gli immigrati possano ottenere la cittadinanza si fonda su un equivoco culturale che perdura ed è foriero dei peggiori guai, come l’esempio francese insegna. L’equivoco consiste nel pensare, e comportarsi di conseguenza, che «multietnico» e «multiculturale» siano due aggettivi che indicano in fondo la stessa cosa.
Come in quegli States, insomma, la cui way of life i nostri sinistroidi ammirano e invidiano anche se odiano di tutto cuore le presidenze repubblicane. Il punto è, però, che gli Stati Uniti sono una nazione, sì, multietnica, ma per niente multiculturale. Chiunque ci viva, infatti, accetta la cornice di valori della religione civile americana (che, piaccia o no, è cristiana fin nel midollo) fino al punto di americanizzare i nomi propri o di rischiare perfino la vita pur di ottenere la cittadinanza. In Europa, invece, le cose sono profondamente diverse. Quel recente sondaggio sui musulmani presenti in Europa che ha fatto sobbalzare sulla sedia nell’agosto scorso gli esperti di Repubblica e del Corriere della Sera, infatti, evidenzia un dato solo all’apparenza sconcertante: un musulmano inglese su tre, anche di seconda o terza generazione, dichiara che preferirebbe la sharia alla legge britannica. Il bello è che l’inchiesta è stata condotta su giovani di età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni. Uno su tre. Dunque, anche i cosiddetti islamici moderati sognano l’islamizzazione della società in cui vivono. In Francia, i bagliori delle banlieues coi loro casseurs maghrebini hanno parlato da soli. Da noi, la proiezione dei Fratelli musulmani, l’Ucoii, ha prodotto quel manifesto che ha sollevato un vespaio in quanto equiparava Israele ai nazisti. C’è chi ha proposto di espellere l’associazione dalla Consulta islamica, ma è un fatto che l’Ucoii rappresenta il maggior numero di moschee presenti in Italia. E il suo motto è, testuale: «Allah è il nostro programma, il Corano la nostra costituzione, il Profeta il nostro leader, il combattimento la nostra strada, la morte per la gloria di Dio la più grande delle aspirazioni», come ricordato dall’agenzia Corrispondenza romana del 2 settembre.
È chiaro che, avendo acquisito la cittadinanza in tempi risibili e potendo fondare un partito politico, il loro programma sarebbe il solito: la sharia. Infatti, dal loro punto di vista è del tutto legittimo cercare di occupare quegli spazi pubblici e sociali che gli europei hanno abbandonato, dal momento che la religione è diventata per questi ultimi un fatto assolutamente privato e, anzi, intimo. Quello che il papa ha definito «ghetto della soggettività». Ecco allora il rischio del multiculturale, che divide la società in ghetti potenzialmente ostili. Ora, il fatto è che uno di questi, quello islamico, ha una identità «forte» e aggressiva, tendenzialmente intollerante e, come indica il sondaggio suesposto, sempre più sensibile al «contagio» integralista. E qui sta la differenza tra Europa e Stati Uniti: questi ultimi hanno e conservano e tutelano una identità altrettanto «forte» culturalmente parlando, laddove gli europei non sanno più neanche di chi sono figli.
Dunque, multiculturalità e integrazione fanno a botte. Ma gli irresponsabili che, per un pugno di voti, aprono le galere con un indulto di cui nessuno sentiva la necessità (anzi) e regalano cittadinanze oves et boves non sembrano darsene per inteso.

Per loro vale sempre il noto assioma marxista: quando i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti.

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