Se l’odio tra marito e moglie porta a uccidere un innocente

Se l’odio tra marito e moglie porta a uccidere un innocente

D’accordo, su Roma nevica e sembra che la tragedia sia questa. Ma proprio nelle stesse ore su Roma si abbatte una catastrofe infinitamente più devastante e innaturale. Cos’altro è, se non una catastrofe immane, un giovane padre che prende il suo bambino di sedici mesi e lo getta nel Tevere?
Il piccolo Claudio adesso sta di nuovo tra gli angeli, ed è sperabile che il dolore l’abbia lasciato tutto qui, alle sue spalle. Si farebbe presto a dire, tra noi così afflitti dal gelo e dal ghiaccio sui marciapiedi, che putroppo il bambino era capitato nella famiglia sbagliata. Certo non era la più tranquilla e lineare. Il padre mostruoso ha precedenti per droga, la mamma è in ospedale già da giorni, ricoverata per problemi di anoressia: proprio approfittando della sua assenza, il marito respinto è entrato come una furia nella casa della nonna, alle sei di mattina, dove Claudio dormiva, e ha chiuso nel modo più infame il matrimonio fallito.
Sicuro, bisogna riconoscerlo, questo bambino non è nato nella famiglia più accogliente. Sicuro, non si è ritrovato il padre migliore. Ma la spiegazione di taglio sociale regge fino a un certo punto. Risultano in circolazione miriadi di padri e di madri inadeguati, scapestrati, disadattati, ma non risulta che i loro figli finiscano tutti nei fiumi, gettati come sacchi di pattume. Piuttosto, risultano altri padri e altre madri che si sono accaniti sui figli, senza avere alle spalle storie di droga, di miseria o di disagio mentale. La memoria corre subito al feroce caso recente del distinto signore svizzero, la cui moglie di origini italiane ancora sta cercando le due bambine, sparite in un oscuro e lugubre viaggio attraverso l’Europa, prima che l’uomo la facesse finita in Puglia.
Altre vicende in giro per il mondo lo confermano: non è così semplice, non è il disagio sociale a scatenare questo genere di delitti, i più atroci e i più imperdonabili tra i delitti. Non c’è droga, non c’è miseria, non c’è abbruttimento culturale che possa spingere un papà o una mamma ad ammazzare una creatura. La molla è sempre un’altra, immancabile e opprimente in tutti i faldoni della tremenda casistica: l’odio.
Ci raccontiamo che non esiste sentimento più forte dell’amore tra genitori e figli. In questi casi, esiste: l’odio per il marito o per la moglie diventa più forte dell’amore per i figli. Scrivono sempre, quando si premurano di lasciare un biglietto sadico, questi assassini impronunciabili: andarmene sarebbe troppo semplice, non puoi vincere così facilmente, voglio che il mio ricordo ti torturi per sempre. E il modo più sicuro, più profondo, più inguaribile è uno solo: uccidere il coniuge dentro, recidendo l’affetto più caro e più forte, mutilandolo dell’amore più grande e più vero. Il demone dell’odio e della vendetta ispira l’impresa disumana.
Dopo, gli avvocati fanno il loro mestiere, bello o brutto che sia: invocano l’infermità mentale. Appare logico a tutti che soltanto un pazzo, incapace d’intendere e di volere, totalmente fuori controllo, possa arrivare a tanto, a gettare bambini nei fiumi, o a sgozzarli nei loro lettini. Qualcosa di vero c’è. Però qui c’è una nonna, la nonna del piccolo Claudio, che dice cose molto fondate: «Quell’uomo non è un pazzo. È solo un violento e un padre-padrone: massacrava di botte mia figlia. Ho paura, non voglio che torni fuori».
Nessuno è riuscito a salvare il candore di Claudio dal furore di suo padre.

Quanto meno, adesso la giustizia dovrebbe garantire che tutto quell’odio non esca più dalle quattro mura di una cella: sia di un manicomio criminale, sia di una galera. Una risposta, la più elementare e doverosa, a questa povera nonna va data.

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