Nel caso dell’acquisto di Bulgari da parte del gruppo francese Lvmh, cioè Louis Vuitton e Moët Hennessy, di proprietà di Bernard Arnault, che già possiede Fendi ed Emilio Pucci, si può dire, dal punto di vista del made in Italy, che il bicchiere è mezzo vuoto, ma anche che è mezzo pieno. Mezzo vuoto perché l’acquisto francese di questa prestigiosa impresa del lusso unito alla cessione della Gianfranco Ferré al Paris group di Dubai, e a quella meno recente di Gucci a Ppr (Pinault-Printemps-Redoute) che tramite Gucci possiede anche Yves Saint Laurent, Boucheron, Bottega Veneta e Balenciaga, mostra che i gruppi del lusso e della moda francesi fanno sistema e comprano una dopo l’altra imprese italiane del ramo, sviluppate da singoli creativi o da famiglie. Queste a un certo punto non sono più in grado di gestire le loro grandi aziende da sole e trovano all’estero acquirenti capaci di fare sistema. E quando non sono le grandi case francesi a fare l’acquisto delle ditte italiane della moda e del lusso si trovano gli uomini d'affari dei Paesi emergenti, interessati a questo business che rende: data la crescente domanda da parte dei benestanti dell’Asia, del Sud America, della Russia, del Medio Oriente e dei Paesi nuovi dell’Unione europea, che si affianca a quella degli abbienti del Nord America e dell’Europa occidentale.
Ma ci si può anche consolare con la tesi che il bicchiere sia mezzo pieno, perché quel che accade dimostra che l’industria di fascia alta italiana è fiorente. Invero accanto ad una impresa italiana che è una star affermata che i francesi da soli o con gli arabi comperano, ce ne sono altre nuove, che emergono come nostre star. Così il made in Italia, con nome e gusto italiano e imprese in Italia, controllate dagli stranieri o da italiani diventa sempre più importante nei mercati internazionali. Si può notare che il gruppo Ppr accanto a Gucci ha solo un’altra grande casa francese, Yves Saint Laurent, che è sotto il controllo della prima, in quanto più importante. E in Lvmh accanto a Louis Vitton c’è Fendi e ora Bulgari, cioè questo gruppo nei brand della moda è più italiano che francese. La Francia domina per la capacità di fare sistema, ma il made in France non è più superiore al made in Italy della moda, come nel passato. Il bicchiere però è soprattutto mezzo vuoto perché mentre gli altri fanno shopping di imprese italiane non solo nel settore moda-lusso ma anche in altri, con particolare riguardo a quello finanziario (è di questi giorni il tentativo di acquisto del gruppo assicurativo Fondiaria-Sai da parte della francese Groupama), mancano imprese italiane che facciamo sistema nella moda-lusso con dimensioni come le francesi. In effetti la famiglia Bulgari si è rivolta a vari complessi italiani, per cercare sinergie di mercato globale, come quelle che essa riesce, ora, ad avere con una quota di minoranza in Lvmh. Ma non ha trovato nessuno interessato. In parte ciò si può spiegare con il desiderio individualista delle grandi case italiane della moda di fare da sé, senza mescolare la propria identità con altri. Ma in Italia gli esempi di partecipazioni incrociate e di gruppi articolati in comparti diversi e in settori diversi non mancano.
Però mi sembra che essi non siano uniti da una sinergia di culture industriali e di marketing come nel caso dei gruppi francesi come Ppr che accanto al lusso ha gli esercizi di retail o Lvmh che, accanto all’alta moda, ha il gioiello e lo champagne. Le nostre grandi galassie sistemiche sembra che, come collante, abbiano soprattutto la ricerca del potere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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