di Marco De Bellis*
Il rapporto di lavoro del dirigente è caratterizzato da elevate responsabilità e, conseguentemente, da un profondo nesso fiduciario con l'azienda. Soprattutto, tale peculiarità è emersa in questa difficile stagione economica, che ha acuito le responsabilità e il peso delle scelte compiute dai dirigenti all'interno delle aziende, siano esse piccole, medie o grandi.
Proprio per la particolarità del rapporto dirigenziale e per l'alto grado di fiducia richiesto, anche mancanze «veniali» (che, se fossero commesse da un impiegato, darebbero luogo a sanzioni disciplinari conservative) possono legittimare il licenziamento del dirigente. La formula più consueta per il licenziamento per «mancanza» è la giusta causa.
Questa si verifica qualora il dirigente si sia reso responsabile di una mancanza talmente grave da ledere irrimediabilmente il nesso fiduciario col datore di lavoro e da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, neppure temporaneamente (articolo 2.119 del Codice civile).
La mancanza che conduce alla giusta causa di licenziamento può riguardare non soltanto vicende attinenti all'attività lavorativa, ma anche fatti estranei alla stessa e attinenti alla sfera privata del dirigente. Ovviamente, nella maggior parte dei casi, sono soprattutto le mancanze commesse nell'ambito del rapporto di lavoro che determinano il licenziamento in «tronco».
Tali mancanze devono essere preventivamente contestate al dirigente appena il datore di lavoro ne viene a conoscenza. Il dirigente, comunque, deve avere la possibilità di fornire le proprie giustificazioni secondo lo schema dell'articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Il licenziamento per giusta causa interrompe immediatamente il rapporto di lavoro, senza alcun diritto del dirigente né al preavviso né alla relativa indennità sostitutiva (ex articolo 2.119 del Codice civile).
*Avvocato del Foro di Milano
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