Se il nostro si rivela un Paese senza «nuvole»

Parlare oggi del fenomeno cloud, comprendendone effetti e potenzialità in relazione alle esigenze del Paese, richiede di spingersi oltre il mero aspetto tecnologico, per quanto importante. «La “nuvola informatica”, ormai così pervasiva di tanti aspetti della nostra quotidianità a dispetto delle percezioni - afferma Nicola Ciniero, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia - è in primo luogo una chiave di profonda trasformazione per imprese e istituzioni e un fattore propulsivo per la crescita. È un elemento rivoluzionario perché muta il paradigma di fruizione dell'It con ciò che ne consegue in termini di minori costi, maggiore efficienza e incremento della produttività. Ma non solo. Il cloud, infatti, incide sulla cultura delle organizzazioni pubbliche e private, indipendentemente dalla loro dimensione».
Il cloud abilita nuovi modelli di business favorendo, in pratica, l'apertura nei confronti degli analytics, del mobile, del social networking e delle più avanzate funzionalità cognitive da cui derivano strumenti evoluti per ingaggiare e gestire clienti, partner, fornitori. Rende perciò possibile l'emergere di un nuovo modo di fare impresa innescando un circolo virtuoso all'insegna dell'innovazione, della generazione di valore e di sviluppo a livello sistemico.
«Il Paese chiede tutto questo, a ogni livello - aggiunge Ciniero -: per la sua piccola e media azienda che deve sostenere la propria capacità competitiva, per le start-up e l'imprenditoria bisognose di modelli agili di sostegno e interazione, per la stessa macchina pubblica e i territori le cui parole d'ordine sono razionalizzazione e integrazione».
L'Italia sembra però non tenere il passo con le geografie solitamente rapide a cavalcare i trend più promettenti. La School of Management del Politecnico di Milano attesta che da noi il cloud cresce più dell'Ict, sia nelle grandi aziende sia in quelle medio-piccole, segnando per il 2013 un incremento annuale complessivo dell'11%, pari a 493 milioni di euro. Un dato incoraggiante a prima vista.
Ma i numeri ingannano. In termini assoluti si tratta, infatti, di dati marginali, ben distanti dalle performance già messe a segno dai partner europei. Per non citare quelle delle aree emergenti del pianeta i cui tassi di adozione del cloud sono ormai il triplo dei nostri. Così, all'Italia oggi non resta che andare all'inseguimento nel tentativo di colmare un divario pesante in termini strategici. E il tempo a disposizione non è molto.
Alla nuvola informatica, naturalmente, non è estraneo il tema della formazione e dell'occupazione. Per la società di analisi Idc la domanda di esperti in quest'area crescerà a un ritmo annuale del 26% generando, entro il 2015, oltre 7 milioni di opportunità professionali.
Anche questo è un treno che l'Italia non si può permettere di perdere.
Dal 2007 a oggi Ibm ha investito nella nuvola oltre 6 miliardi di dollari, senza contare la recente acquisizione di SoftLayer che porta in dote una piattaforma di erogazione di servizi ideale per il tessuto economico italiano, sotto ogni punto di vista. «Come player globale dell'innovazione - conclude Ciniero - Ibm continuerà a sostenerne le esigenze di trasformazione e il bisogno di valore avendo proprio nel cloud uno dei pilastri della propria visione strategica di business.
Per certi versi si è solo agli inizi, talmente ampie e diversificate si presentano le sfide.

Difficile sottrarsi a un tale stimolo.

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