Se il referendum scozzese infiamma l'orgoglio inglese

Il voto poteva essere il trionfo di Edimburgo. Ora invece è Londra che vuole una consultazione contro i cugini e un premier tutto per sé

Un fan della nazionale di calcio inglese al bancomat, con la bandiera sulle spalle
Un fan della nazionale di calcio inglese al bancomat, con la bandiera sulle spalle

Edimburgo - Altro che riconciliazione. A un passo dal Parlamento scozzese di Holyrood le cornamuse suonano a festa per i turisti e nella cattedrale gotica di Saint Giles, nel cuore di Edimburgo, la Chiesa di Scozia celebra una messa per «riflettere su obiettivi e valori comuni» dopo il referendum. Si presentano in mille e più, compreso il laburista Alistair Darling, l'ex ministro del Tesoro che ha guidato la campagna anti-indipendenza «Better Together», meglio insieme. Ma il first minister scozzese Alex Salmond, il Braveheart sconfitto, non c'è. E nemmeno la vice Nicola Sturgeon, che con molta probabilità prenderà il suo posto dopo le dimissioni.

Sotto la statua di Adam Smith il clima è disteso, le divergenze messe da parte. Ma l'orgoglio non è sopito. Darling avverte il primo ministro Cameron: la pagherà (politicamente), e per molti anni, se non manterrà le promesse agli scozzesi. La partita adesso si gioca tutta a Londra. Eppure ora - paradosso del referendum scozzese - a risvegliarsi è l'orgoglio di qualcun altro. Non solo gli scozzesi, insomma. Ora anche gli inglesi cominciano ad alzare la voce. Feriti dallo spauracchio di una Edimburgo sovrana, convinti di essere diventati loro i cittadini di serie B, i sudditi ai piedi del Big Ben non riescono più a digerire le continue richieste di autonomia dei loro vicini, gallesi e nord-irlandesi compresi. Hanno ritrovato il loro orgoglio e ora chiedono anche loro più poteri.

Un sondaggio per il Mail on Sunday - impegnato a solleticare ma anche a fotografare l' English pride - ha rivelato ieri che il 65% degli inglesi vuole che ai deputati del Parlamento britannico eletti in Scozia sia impedito di poter votare su questioni inglesi. «Voti inglesi per leggi inglesi» è lo slogan che piace a sud del Vallo di Adriano. Qui la maggioranza vorrebbe esprimersi con un referendum prima che altri soldi vengano trasferiti alla Scozia. Non solo: il 71% degli inglesi è contrario e trova iniqua la cosiddetta Barnett Formula, il sistema che concede a ogni scozzese 1.600 sterline in più (circa duemila euro) di denaro pubblico rispetto ai vicini inglesi.

Sollevati dall'esito del referendum - così dicono 9 su 10 - gli inglesi ora rivendicano la propria parte. Che la sfida si fa seria lo dimostra il ministro della Giustizia Chris Grayling, in un intervento sul Telegraph : «Ci vuole un nuovo patto anche per l'Inghilterra». Il Parlamento scozzese - spiega il Guardasigilli - non può ricevere più poteri su tasse, welfare e spesa mentre i parlamentari scozzesi «forgiano il destino» dell'Nhs, della scuola e del sistema giudiziario in Inghilterra imponendo le loro «politiche socialiste». E infine: «In Scozia la giustizia è tutta oggetto di devolution. Io non ho praticamente nessun ruolo come ministro ma i parlamentari scozzesi possono votare le mie proposte per inasprire il sistema giudiziario in Galles e Inghilterra. Così non può continuare».

La posta in gioco è altissima. Riguarda la divisione dei poteri, il nuovo assetto costituzionale del Regno Unito ma anche gli equilibri politici. Per questo ieri il leader laburista Miliband dal Congresso di Manchester ha rigettato la proposta di Cameron di legare la questione dei nuovi poteri alla Scozia a quella delle riforme per la Gran Bretagna. I due capitoli vanno trattati separatamente secondo i laburisti, che temono di perdere peso a Westminster e forse anche le prossime elezioni se i loro 41 deputati scozzesi mancassero nelle votazioni cruciali.

È l'effetto collaterale e non desiderato del referendum in Scozia: aver risvegliato la questione inglese. È anche la conseguenza di un'abile mossa di Cameron che ha trasformato la questione della devolution in un dibattito sul potere degli inglesi. Per questo ieri i suoi avversari hanno alzato i toni, rimproverandogli di aver disatteso le promesse. Salmond è tornato alla carica e ha accusato il premier di aver «ingannato» gli scozzesi.

Con maggiori poteri, la Scozia dopo il 2016 - se gli indipendentisti vinceranno di nuovo le elezioni - potrà proclamare unilateralmente l'indipendenza, dice il first minister. Il rischio è che il leader indipendentista trascini i suoi in un «neverendum», un clima da referendum perenne. Il modo migliore per dare altro fiato all'orgoglio inglese.

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