C’è un lavoratore che non viene da Melfi e non porta la tuta blu. È un artigiano del microfono, di mestiere fa la radio. Anzi, ne è stato protagonista principale per 35 anni. Epperò questo onesto lavoratore dell’etere quasi invidia i tre dipendenti Fiat reintegrati ma non ancora riammessi sul posto di lavoro. Quelli, le presunte «vittime del padrone», almeno lo stipendio lo prendono. Lui, ex dipendente dell’Ingegnere più progressista d’Italia, nemmeno quello. E da tre anni.
L’ennesima storia di santissime prediche e razzolate disastrose arriva dal Gruppo Espresso-Repubblica e in particolare da Radio Capital. A subire sulla propria pelle l’incoerenza dei paladini della giustizia è una delle voci storiche della radio italiana, Sergio Mancinelli. Per chi si nutre solo di tv, Mancinelli è stato conduttore di trasmissioni musicali come «Discoring», «Il disco per l’estate», «Fate il vostro gioco» e l’edizione ’86 del Festival di Sanremo, con Loretta Goggi. Ma per chi mastica di radio, Mancinelli è colui che per primo portò il rock sulle frequenze della Rai, con «Long Playing», prima di ereditare da Lelio Luttazzi «Hit Parade», fino a diventare uno dei dj più conosciuti d’Italia. Insomma, un mostro sacro.
In qualità di mostro sacro, nel ’99 lascia Radio Rai per Radio Capital, emittente del Gruppo di De Benedetti. In otto anni crea un fenomeno di costume con la trasmissione «Area Protetta», che porta da 120mila a 480mila ascoltatori. Poi, con l’arrivo del nuovo direttore artistico Linus, nel giugno 2007 viene messo alla porta, sacrificato sull’altare dello «svecchiamento» della programmazione. Le richieste di chiarimento sono eluse, gli ascoltatori scrivono lettere e mail di protesta, raccogliendo addirittura 4mila firme. I fan denunciano perfino un sondaggio su Repubblica.it in cui tra «le cose di cui si sente di più la mancanza» «Area Protetta» batte tutti; peccato che poi il sondaggio lo abbia vinto il Nokia 6310, anche se con meno preferenze. Magie dei gruppi editoriali trasparenti.
Messo alla porta senza spiegazioni, Mancinelli fa ricorso al giudice del lavoro. Due anni di attesa e nel maggio 2010 una sentenza dichiara illegittimo il licenziamento, impone la riammissione «nelle mansioni di conduttore precedentemente svolte» e condanna Elemedia, la società che gestisce Radio Capital, a pagare gli stipendi dei due anni precedenti. Mancinelli è soddisfatto, lui vuole soltanto ritornare a fare il suo lavoro. Epperò non ha fatto i conti con chi su Repubblica fa battaglie per «il rispetto delle sentenze» salvo poi beatamente ignorarle quando quelle sentenze vanno contro i propri interessi. Dalla radio - che in due anni ha perso oltre 300mila ascoltatori - nessun segno. Non si pretendono braccia aperte, ma almeno il reintegro in attesa dell’eventuale appello. Niente, come Simon & Garfunkel: solo Sound of silence. Mancinelli non ha fretta, ma dai responsabili giunge solo un’offerta economica di risarcimento «offensiva».
Arriva l’estate e il conduttore, ormai in gabbia, senza stipendio, senza trasmissione ma formalmente ancora dipendente Elemedia (status che non gli consente di accettare le altre proposte che fioccano), si scontra con la cinica realtà del Gruppo, a cui la magistratura evidentemente sembra un po’ meno infallibile di come viene decantata negli editoriali di D’Avanzo. Un muro di gomma che respinge anche la disponibilità di Mancinelli al reintegro con un contratto non a tempo indeterminato. Un niet su tutta la linea motivato da esigenze di palinsesto e a cui il dj e il suo legale rispondono con un nuovo ricorso al tribunale del lavoro per danno da inattività.
Passano i 60 giorni di conciliazione e il silenzio non cambia: «Curioso - spiega l’avvocato De Guglielmi - che a calpestare così i diritti di un lavoratore, nonché una sentenza del tribunale, sia proprio quel Gruppo che ha fatto del rispetto della magistratura un valore editoriale e che questa estate ha bastonato la Fiat per lo stesso motivo».Sempre più difficile razzolare bene, eh.
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