Politica

Se lo spread ballerino smentisce gli anti Cav

Nonostante la cura di SuperMario l'assedio ai titoli di Stato continua. E' la prova che la responsabilità non era dell'ex premier, vittima di attacchi faziosi e farlocchi

Se lo spread ballerino  smentisce gli anti Cav

Non so voi, ma io sono ancora sot­to botta. Voglio dire che tutta la faccenda politica di questi an­ni è finita parecchio male, e non ho voglia di dimenticarlo così facil­mente. Non mi basta prendermela con i tec­nici e con i loro conflitti di interesse, con le loro paurose debolezze, con la loro impo­stazione strategica subalterna ai castighi dello Stato fiscale alla Merkel, con i risultati piccini della loro idea di stabilizzazione dei mercati e del debito, con la recessione coa­diuvata e incentivata anche dalle loro scel­te. Non mi basta godere per lo smarrimen­to­politico e psicologico in cui la sinistra de­magogica, incapace di progetti alternativi di governo, è stata gettata dalla mossa del governo Monti. Voi direte: come, non ti ba­sta?, e che altro vuoi dalla vita? Ma goditela, no?

Forse sono un incontentabile, un caca­dubbi, un depresso. Riconosco che Berlu­sconi, se da un lato ci ha rovinati tutti accet­tando una soluzione di compromesso che probabilmente non reggerà, ma che intan­to ci nega l’autogoverno, il diritto di sceglie­re chi comanda, una politica d’attacco con­tro la crisi internazionale, dall’altro ha mes­so l’Italia che si è riconosciuta nella sua pa­rabola in una specie di tregua precaria ma in un certo senso utile, è entrato in una riser­va tattica capace ogni giorno di dimostrare per negazione che l’assalto da lui subito era farlocco e fazioso. Perché non era sua esclusiva responsabilità l’assedio finanzia­rio al debito, basti guardare dov’è che fa oggi la sua danza Lady Spread;non era l’unico tito­lare di un conflitto di interessi, né del più consistente e politica­mente opaco; non basta essere cupi, paludati, compostamente ironici per recuperare una vera autorevolezza; eccetera.

Penso che i fatti dell’immedia­to futuro, con conseguenze gravi per questo Paese, dimostreran­no anche di più: le buone inten­zioni, l’aplomb, la sobrietà e la serietà istituzionale al governo non sono garanzia di alcunché, non producono necessariamen­te spirali virtuose, e quel che ser­ve a una democrazia, anche e so­prattutt­o in una fase di traumati­ci cambiamenti e di notevoli peri­coli, è una maggioranza popola­re che esprime un governo in gra­do di decidere per tutti sotto il controllo di un’opposizione che si prepara a sostituirlo.

Ma è proprio qui che la faccen­da si fa scabrosa.

Quando sarà stato dimostrato che la sospensione tecnocratica della democrazia non è la solu­zione del problema che abbia­mo, in Italia e nel mondo e in Eu­ropa, la gente non griderà a squarciagola: aridatece er puzzo­ne! , perché le società moderne sono più complicate della carica­tura vernacolare della fine di re­gime che l’Italia ha vissuto nel se­colo scorso.

L’unico modo serio di impiega­re il tempo politico a disposizio­ne, che è poco ed è esposto ai ven­ti gelidi della recessione euro­pea, intuiamo quale sia, ma non vogliamo dircelo.

Destra e sinistra devono pro­durre un nuovo manifesto di identità, mentre tengono incol­lata la pecetta istituzionale del governo Monti,non un’agitazio­ne psicomotoria di tipo vaga­mente preelettorale. Voto la fiducia, e intan­to porto la sfiducia dalla mia parte: una caram­bola molto acrobatica e poco re­sponsabile. No. Ci vuole un cam­biamento serio, e lo si deve realiz­z­are con un’aperta battaglia poli­tica e sociale. La sinistra deve di­re agli italiani come farà ad emanciparsi dal tatticismo che si è mangiato la «vocazione mag­gioritaria » del Pd, riconsegnan­do la sua prospettiva di governo a una specie di nuova Unione o di nuovo Ulivo che riprodurreb­bero la vecchia impotenza ben conosciuta dagli italiani; e la de­stra deve mettersi in un assetto di verità politica, spiegare che co­sa è andato storto, e come si fa a raddrizzare una prospettiva che aveva garantito meno tasse, più sviluppo, più libertà economi­che e civili, e riforme e rotture co­me non se ne erano mai viste nel­la Repubblica dei vecchi partiti.

Non si tratta di fascicoli polve­ros­i in cui siano scritte nuove pa­role programmatiche, si tratta di dare un segnale: guardate che quando Monti dovrà essere sosti­tuito da un governo eletto, me­glio prima che poi, noi abbiamo qualcosa di nuovo da dire, un’idea nuova del potere repub­blicano e di come affidabilmen­te gestirlo, con nuove regole an­che costituzionali. È troppo chie­derlo?

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