Il terremoto che domenica scorsa si è abbattuto sulla Turchia è un disastro che fa male al cuore. Adesso, molti gruppi internazionali sono alle prese con il salvataggio e soprattutto con il ricovero e il primo soccorso degli sfollati. Fra loro, a segnale che il destino è il fautore del mondo, e non la politica anche dei più astuti, scorgiamo con stupore alcuni soccorritori con una bandiera (ideale) ornata da una stella di Davide. Israele è là a aiutare la Turchia, che sotto la presidenza di Erdogan non ha fatto che attaccarla in maniera brutale fino allodio dichiarato e sconnesso, rompendo una vecchia alleanza, considerando Hamas uno dei suoi migliori amici.
La prassi che accompagna un grande disastro è tragicamente usuale, e Israele che è specialista in protezione civile ha subito offerto, con gli altri, aiuto. Ma il governo, mentre ancora le macerie gridavano, ha risposto «no, Israele stia a casa». Ma Erdogan sa bene cosa sanno fare gli israeliani in questi casi: nel 1999, anno del grande terremoto, è rimasta famosa la scena dei soccorritori ebrei che estraggono una bambina di dieci anni rimasta sepolta per 100 ore. Altri undici sepolti vivi furono salvati da loro, e 140 corpi furono da loro disseppelliti. Stavolta a Erdogan è sembrato di dover far prevalere la sua furiosa antipatia politica al rischio di dovere qualcosa a quei nemici contro cui è lucroso avventarsi per conquistare lopinione pubblica islamista. Ma alla fine, non è andata così: che sia stato il dolore, che sia semplicemente il fatto che a volte una mano santa ti costringe a capire che ci sono cose più importanti della propaganda, per esempio la vita. Non importa.
Se il terremoto riavvicina Turchia e Israele
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