Assisti spaesato a certe goffe mosse dalla burocrazia nostrana e ti viene da pensare che ogni Paese ha il test d'immigrazione che si merita. Negli Stati Uniti, per dire, se aspiri a vivere in America ti chiedono che cosa dice il primo emendamento della Costituzione. Da noi quanto costa un chilo di melanzane. E allora ti chiedi se in certi uffici ministeriali ci godano a farci apparire repubblica delle banane.
Si è aperta ufficialmente ieri la corsa ai test per chi risiede in Italia da almeno 5 anni e vuol fare richiesta per il permesso di soggiorno permanente. Non è la cittadinanza ma è un primo passo in quella direzione. È giusto chiedere a un immigrato che abbia questa intenzione di sottoporsi a uno scrutinio per capire se merita di stare tra di noi? Se ne può discutere.
Di sicuro, in questo momento, una riflessione simile la stanno facendo la gran parte dei Paesi occidentali. Negli Stati Uniti c’è da tempo il test per la cittadinanza. In Germania, un Paese che è da anni a fortissima immigrazione, si è deciso di introdurre un test di lingua per la cittadinanza e dei corsi di formazione in educazione civica. In Inghilterra, il neo premier David Cameron ne ha fatto un punto fondante del proprio programma. Il leader conservatore ha parlato di test di lingua a cui sottoporre anche chi chiede il ricongiungimento familiare, quindi anche alla moglie che vuole raggiungere il marito (o viceversa) in Gran Bretagna: dovranno dimostrare di avere una conoscenza della lingua di tutti i giorni pari a quella richiesta a uno «skilled worker», un lavoratore qualificato.
Chi invece voglia stabilirsi all’ombra della Torre Eiffel deve confrontarsi con una bella sfida: la recente normativa, l’ultima di quattro leggi in materia di immigrazione che si sono succedute in breve tempo in Francia, prevede innanzitutto che gli immigrati che chiedono il ricongiungimento familiare, se sono consanguinei, si sottopongano a un test del Dna per verificare che la parentela ci sia davvero. Una norma che si è attirata non pochi strali Oltralpe e che ha lo scopo di arginare stratagemmi sostenuti da documentazioni la cui attendibilità, in alcuni Paesi, ricorda le testimonianze presentate per dimostrare l’italianità di certi pseudo oriundi del pallone: valore zero.
Se il Dna è in regola, gli aspiranti residenti della Francia provenienti da Paesi extra-Unione europea dovranno sottoporsi a un esame che accerterà non solo la conoscenza della lingua francese, ma anche di aver digerito i valori della «République».
In quasi tutti i Paesi seri dunque, i quiz puntano a verificare non solo che chi vuol immigrare sappia esprimersi decentemente, ma anche, nel rispetto della cultura di ognuno, la volontà di integrarsi. In Francia, la legge è stata anche preceduta da un ampio e filosofico dibattito sull’identità francese, sui «valori della Repubblica». Sarà anche la grandeur dei cugini, ma da loro sono scesi in campo filosofi e giuristi, da noi sembra che si siano rivolti a «Sos Tata». A uno che vive in Italia da cinque anni si chiede di capire frasi tipo «come ti chiami?» o altre amenità da supermercato. Tutte utili, per carità, ma che di certo non indagano sulla volontà di integrazione del nuovo arrivato. E alla fine, il vero test per chi vuole il permesso di soggiorno, sarà superare la macchinosità della nostra burocrazia. La domanda per il test si può fare on line. Ma ieri il sito testitaliano.interno.it non si apriva. Oggi dà un minaccioso messaggio di errore. Per chi riesce a connettersi scatterà la convocazione, il test (diverso per ogni centro autorizzato), la correzione.
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