Per tutti, ma soprattutto per gli amici, era «U Prufessu». E lui, Giovanni Rebora, professore era davvero: docente universitario insigne e autorevole allUniversità di Genova, dove insegnò nella facoltà di Economia e Commercio e, in seguito, a Lettere e Filosofia. Ma le sue lezioni, fossero di Storia agraria medievale, di Storia economica o anche di Storia moderna e contemporanea - le discipline preferite - erano qualcosa di più e di diverso da un tradizionale, per quanto erudito, contributo di cultura accademica. Erano piuttosto, le sue lezioni - come confermano allievi e colleghi, ricordando con riconoscenza e simpatia -, erano piuttosto affabulazioni ricche di fascino, spruzzate qua e là di aneddoti, digressioni, accostamenti arditi, e soprattutto sferzate da graffiante ironia. Infine, lui, «U Prufessu», legava tutto con il dialetto genovese, come se questo fosse lelemento principe per lamalgama, per condire al meglio la ricetta, per far scoprire il colore, il sapore, il gusto della comunicazione. Non a caso si fa ricorso, qui, a termini presi direttamente a prestito dalla cultura enogastronomica: ben saddicono a un riconosciuto esperto e promotore della «Civiltà della forchetta» (dal titolo di quello che è forse il suo libro più famoso, pubblicato nel 1998 e riproposto in successive edizioni anche allestero).
Più che naturale, dunque,che oggi, a quattro anni dalla scomparsa, il professore, che fu amico di Fernand Braudel e Jacques Le Goff, di Maurice Aymard e Alberto Tenenti, mantenga unattualità e unautorevolezza assoluta non solo in campo accademico, ma anche in quello della grande cucina che egli seppe spiegare da abile conferenziere a esperti e gente comune, indifferentemente conquistati dalla simpatia e dallacutezza delle intuizioni. Ma è soprattutto fra gli amici che Rebora ha lasciato un segno indelebile. Uno di questi, fra i più cari, è Gianni Carbone, «LOste». Che un giorno incontra Giovanni, «U Prufessu» e, rigorosamente in genovese, si mette a parlare con lui di pansoti e fugassa, di tradizioni vere e false, e di barbera... Scocca la scintilla, che diventa una bella fiamma, e coinvolge le rispettive famiglie. E sfida il tempo, questa amicizia, e non è interrotta neanche dalla scomparsa di Giovanni. Tantè che adesso Gianni e sua figlia Gloria, allunisono con Federico, figlio del professore, lanciano la proposta: l'istituzione di un premio intitolato a «U Prufessu», per un testo sulla civiltà della tavola che si avvicini alla «maniera di pensare» di Rebora, in linea con il «pensiero storico-gastronomico» della famiglia Carbone, che è al timone dello storico ristorante «Manuelina» di Recco.
Per onorare lopera e la memoria di Giovanni Rebora, quindi, e «per ricordare la sua straordinaria passione e professionalità nel raccontare e scoprire usi, costumi, evoluzione della società antica e moderna, che lo hanno reso protagonista della vita scientifica e culturale contemporanea», viene istituito il «Premio Giovanni Rebora» per la Civiltà della Tavola. Il riconoscimento, che verrà assegnato ogni primavera nel corso di una manifestazione alla «Manuelina», ha due sezioni: quella «autori» prevede lassegnazione allautore di unopera che tratti, nel senso più ampio, la storia, la letteratura, il costume, leconomia connesse alla gastronomia e alla civiltà della tavola. La sezione «carriera», invece, premia una personalità che, nel corso della propria esistenza e della propria attività scientifica o culturale, abbia operato nel campo della gastronomia e della civiltà della tavola con particolare entusiasmo e dedizione. I premiati saranno scelti da una giuria di intellettuali, enogastronomi ed esperti, designata dal Comitato organizzatore. Informazioni per partecipare sul sito: www.premiogiovannirebora.it. Già definiti, intanto, lappuntamento con la serata finale 2012 - venerdì 16 marzo -, e il premio al vincitore: un «testo» in rame, la tipica teglia in cui si cuoce la focaccia col formaggio di Recco.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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