Politica

Se le vittime dell’immondizia scelgono la sinistra

«Siamo il popolo della monnezza»: l’aeroplanino volteggia sulle case e sul mare di Napoli e si spinge fin quasi a sfiorare l’orlo del cratere del Vesuvio e trascina nell’aria lo striscione con la scritta a lettere cubitali. Il popolo sommerso dalla monnezza, il naso all’insù, guarda e applaude, divertito e indignato insieme. Ma non abbastanza indignato da votare contro il governo e contro i principali responsabili di un disastro che non ha precedenti nel mondo occidentale. Il centrosinistra, disastrato al Nord, ha tenuto al Sud, e qua e là ha persino vinto. In Campania, dove si votava in provincia di Napoli, di Salerno e di Caserta, il centrosinistra ha vinto al primo turno in nove dei 27 comuni con oltre 50mila abitanti, strappando al centrodestra Ischia e Quarto, si è confermato a Nocera, ha vinto a Capaccio e ad Agropoli, e andrà favorito al ballottaggio in 13 Comuni, fra cui Battipaglia. Lo stesso centrosinistra che governa la Regione, la Provincia, la città di Napoli, il Napoletano e la maggior parte della Campania da ben 14 anni.
L’emergenza della spazzatura è cominciata 13 anni fa, quando Antonio Bassolino era sindaco di Napoli e fu lui, nominato commissario straordinario, a preparare il piano rifiuti che avrebbe dovuto smaltire le 7500 tonnellate di immondizia che la regione produce al giorno e che al momento sta tutta lì. Bassolino è rimasto per due mandati sindaco, per altri due mandati è stato presidente della Regione, per 3 anni commissario straordinario, e dopo di lui altri 4 commissari, sempre straordinari: il popolo della monnezza avrebbe avuto tutte le sacrosante ragioni per votare contro Bassolino, contro il sindaco che gli è succeduto, Rosa Russo Iervolino, da lui adottata e protetta, contro il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, che da sempre si oppone alla costruzione degli inceneritori, e contro il governo Prodi, che prima fa il decreto per l’apertura delle discariche, poi boicotta l’ultimo dei commissari, Guido Bertolaso, che le vuole aprire, costringendolo alle dimissioni. Ma non l’ha fatto: il popolo della monnezza ha votato per il centrosinistra, per Prodi, per Pecoraro Scanio, per Bassolino, per la Iervolino, per i sindaci dell’Ulivo che guidano le popolazioni a occupare le discariche e a impedire ai camion con l’immondizia di scaricare. Perché?
Perché questa è nel Sud, particolarmente nel Sud, e a Napoli e in Campania, la «società civile» sempre esaltata e contrapposta alla società politica dai moralisti da strapazzo, dai demagoghi dell’antipolitica, dai sociologi che non hanno letto Guidi Dorso. Questa è la gente capeggiata dai nuovi Masaniello o dalle nuove Masaniello, come Rosetta, la «pasionaria» di Montecorvino che incita il paese di cui è vicesindaco alla «guerra civile» contro lo Stato. Spalleggiata dai preti che sollevano sulla discarica la statua di San Vito con i due cani al guinzaglio, che simboleggiano rispettivamente la rabbia e le turbe psichiche (e San Vito è il protettore dei pazzi). E dagli avvocati, gli eterni «paglietta», che prima arringano il popolo a occupare le discariche legali e a impedire lo scarico della monnezza, poi in tribunale difendono camorristi che si sostituiscono al Comune, alla Regione e allo Stato nella raccolta illegale dei rifiuti e nella creazione delle discariche illegali nascoste nei frutteti, accanto ai cimiteri e nelle cave che si vedono solo dall’alto con gli elicotteri.
La camorra ormai preferisce la monnezza alla cocaina, guadagna di più, usando i suoi camion e le sue ruspe e noleggiandoli alla metà o a un terzo del prezzo di mercato (ha fatto risparmiare capitali astronomici alle imprese del Nord), e rischia di meno, perché minori sono le pene previste e più facile e più rapida la prescrizione. La camorra è diventata miliardaria ed è dilagata ben oltre i quartieri della città e le zone della provincia, dove era confinata dalla presenza sul territorio dei partiti politici, che magari convivevano con i clan e non disdegnavano i loro voti alle elezioni, ma allo stesso tempo li contenevano e li controllavano, impedendo loro di tralignare dai confini delle riserve indiane e di mettere le mani sui grandi affari. I grandi affari erano controllati dai partiti e dalla classe politica, per la camorra restavano le briciole. A Napoli comandavano i Gava, non i Cutolo.
I partiti e la classe politica sono stati distrutti dall’uso politico della giustizia, dalla magistratura politicizzata, dal potere sempre crescente della corporazione, che ha logorato il potere esecutivo e il potere legislativo. Alla fine, non conta più niente nemmeno il partito comunista, quello che fu di Amendola e di Napolitano: Bassolino ha costruito e ha blindato nel Palazzo un arrogante gruppo di potere, ma non controlla il territorio e non comanda sulla città e sulla Regione, non riesce a controllare e a contenere la camorra. Vince le elezioni da più di dieci anni perché non esiste l’opposizione, non esiste più il partito liberale di De Lorenzo, non esiste più il partito socialista di De Martino, di Lezzi, di Di Donato, non esiste più la Democrazia cristiana.
E il centrodestra inventato da Silvio Berlusconi, dopo i primi exploit, non è mai diventato partito, non si è mai organizzato sul territori, non ha prodotto una nuova classe politica all’altezza della situazione. Ed è sempre più minato e consumato dall’antipolitica, cavalcata con successo all’inizio, ma distruttiva alla fine. Con l’antipolitica si possono vincere le elezioni una volta, e in periodo di grave crisi, ma non si formano le classi dirigenti e la classe politica, e non si governa il Paese, la Regione, le città. Come, alla fine, l’uso politico della giustizia ha distrutto anche il partito comunista, così l’antipolitica ha indebolito, consumato, e rischia di dissolvere il centrodestra.

Che per ora perde al Sud, ma che se non la smette di trescare e di crogiolarsi con l’antipolitica, presto perderà dappertutto.

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