Pierangelo Maurizio
da Siena
A Siena la Fondazione del Monte dei Paschi che controlla la banca omonima - ha il 49% delle azioni - nel piano annuale delle elargizioni distribuisce circa 200 milioni di euro, su una città di 50mila abitanti e una provincia di 200mila. E Siena insieme a Livorno è la vera roccaforte del potere rosso in Toscana.
Le guide turistiche, oltre al Palio, dovrebbero dedicare due righe ai rapporti tra il partito, anzi tra la federazione di un partito e quel forziere che - da quando nel 1472 nacque il Monte di Pietà, cui nel 1622 fu affiancato il Monte dei Paschi - è il cuore del cuore del potere.
A Siena si possono trovare anche alcune risposte sulla battaglia finanziaria dell'estate dentro il centrosinistra. «Ha presente il big bang?», dice un analista. È bastato che l'Unipol di Giovanni Consorte per la prima volta mettesse le mani sulla Bnl, ed è scoppiata la guerra di tutti contro tutti: il centrosinistra romano contro i Ds, i senesi contro i bolognesi, Margherita e Rifondazione contro D'Alema e Consorte...
Non è sempre stato così. Dagli anni '50 al '96 in Toscana come nelle altre «terre rosse» è rimasto in vigore un principio di pluralismo accettato persino dall'egemonia comunista quando il Pci era il Pci.
Degli 8 membri della «deputazione» che reggeva le sorti della banca 4 erano nominati dal Comune, 1 dalla Provincia e 3 dal ministero del Tesoro. Con questa divisione politica: 2 comunisti, 2 socialisti, 3 dc e 1 laico-massone.
Tutto cancellato. La prima spallata è venuta dalla legge Amato sulle fondazioni bancarie. Occhio alle date. L'8 agosto 1995 Lamberto Dini (premier e ministro del Tesoro) con decreto sdoppia il forziere: la banca, Monte dei Paschi Spa, privatizzata e la Fondazione pubblica. Nei due anni successivi ci si dedica alla cacciata dei vecchi amministratori anche con il ricorso al terrore giudiziario. L'8 maggio 2001 nell'ultimo sussulto del governo il ministro Vincenzo Visco approva il nuovo statuto della Fondazione.
E che cosa prevede il nuovo statuto? Semplice. Dei 16 membri che compongono la Deputazione generale, cioè l'organo di indirizzo, 8 li sceglie il Comune e 5 la Provincia, in mano ai Ds (gli altri 3, uno ciascuno la Regione Toscana, la Curia e l'Università). La Deputazione generale nomina la Deputazione amministratrice, che a sua volta determina anche il Cda e gli assetti della Banca.
Quanto all'intrigo finanziario dell'estate, bisogna riandare a due date. Fondamentali.
21 maggio scorso: ore 10 della mattina, via Veneto, assemblea dei soci Bnl per eleggere il nuovo consiglio d'amministrazione, sulla quale aleggiano i risultati di unispezione della Banca d'Italia (pesanti rilievi - si dice - sulla gestione del credito, i controlli interni, l'organizzazione del lavoro). Finisce così: 8 consiglieri al «patto» del presidente Luigi Abete e degli spagnoli del Banco Bilbao (più Generali e Della Valle), 6 agli immobiliaristi dell'ingegner Francesco Gaetano Caltagirone. Uno al Monte dei Paschi che ha deciso di correre da solo (con la Banca popolare di Vicenza ha poco più del 5 %). Tragico errore, o forse no. «Se il Mps si fosse alleato con Caltagirone - dice una fonte interna al mondo bancario - non solo avrebbe ottenuto due consiglieri ma anche il controllo gestionale della Banca nazionale del lavoro, visto che era l'unico a fare di mestiere il banchiere. Senza spendere un centesimo». Ed è questo che spalanca le porte alla marcia trionfale di Unipol.
Laltra data è il 23 giugno. Una del pomeriggio, la 6ª commissione Finanze del Senato, che discute la legge sul risparmio, ha appena approvato l'emendamento del senatore Maurizio Eufemi, Udc, sulle fondazioni bancarie. A partire dal 1° gennaio 2006 non potranno esercitare il diritto di voto per le azioni eccedenti il 30% del capitale. La banca più importante nel mirino è il Monte dei Paschi (la Fondazione ha il 49% della banca). L'emendamento è sì passato con il voto favorevole del centrodestra, ma anche con l'astensione decisiva, come si affretta a dichiarare subito il senatore Eufemi, di due diessini. Chi sono? Dalemiani di ferro: Nicola Latorre e Massimo Bonavita, emiliano, braccio destro di Lanfranco Turci, ex presidente dell'Emilia Romagna ed ex grande capo della Lega coop (anche lui è nella Commissione Finanze ma al momento del voto non cè).
Fra queste due date, si consumano: l'operazione Unipol, la vendetta che viene attribuita a D'Alema, servita a freddo come solo lui sa fare, e lo strappo di Siena. Per capire le ragioni dello scontro bisogna riandare agli anni della merchant bank di Palazzo Chigi. A Rocca Salimbeni, sede del Montepaschi, ancora si leccano le ferite.
Dal '97 al 2000 sono gli anni della grande abbuffata, con ex falegnami nominati amministratori, ex sindaci e uomini d'apparato sistemati nelle controllate, duplicazioni di incarichi. E dell'«affare del secolo» poi rivelatosi il bidone del secolo: l'acquisto da parte di Mps della Banca del Salento. Il prezzo, 2.500 miliardi di lire, lievitò di 200 miliardi in una notte.
Scoppiato il bubbone della Banca 121, ex Banca del Salento, i vertici del Monte danno in pasto ai detrattori Vincenzo de Bustis, l'ex direttore generale della banca acquistata diventato direttore generale dalla banca acquirente. Dicono che D'Alema lo abbia preso come un tradimento. Sono cose che lasciano il segno.
A fine giugno a nulla è servito l'appello del segretario Piero Fassino, sposato con la senese Anna Serafini, rivolto al Mps «di espandersi» e «di non lasciare solo Giovanni Consorte e le coop emiliane nella conquista della Bnl». Il sindaco ds Maurizio Cenni, i compagni e i banchieri rossi di Siena l'hanno cordialmente mandato a quel paese. «È evidente che i senesi fanno quello che vogliono», ha commentato rassegnato Massimo D'Alema.
Per ora padroni della situazione sono quelli che in città chiamano i Magnifici Quattro. Il sindaco, Maurizio Cenni, diessino.
pierangelo.maurizio@fastwebnet.it
(6. Continua)
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