Roma - Il new deal della politica nostrana? Ha già i suoi paladini, rivela l’edizione domenicale del Secolo d’Italia, sparando in prima pagina i faccioni di Fini e Vendola, con un titolo eloquente: «Gianfranco, Nichi e la politica nuova: galeotto fu il libro». Galeotta però è anche la testata, perché un secolo, inteso non come quotidiano ma come periodo di tempo, non basta nemmeno a contar gli anni del presidente della Camera (59) e del governatore pugliese (52). Non proprio ragazzini, e neppure di primo pelo nel Palazzo del potere. I due golden boy che, secondo il quotidiano diretto da Flavia Perina, sono la coppia predestinata a cambiare gli scenari della politica italiana, non sono esattamente saltati fuori dal nulla. Solo per restare allo sbarco in Parlamento, Fini si è seduto la prima volta tra i banchi dei missini a Montecitorio nel 1983, 28 anni fa, quando al posto che lui ora occupa c’era Nilde Iotti. Ma la sua carriera politica ha radici ben più profonde delle «appena» otto legislature che lo hanno visto deputato, visto che la militanza del presidente della Camera risale, per sua stessa ammissione, al 1968. Fascista, missino, postfascista. E, infine, anche se il Secolo ora lo vede come uomo guida di un «progetto» per «riportare la politica (...) fuori dal teatrino personale in cui si è ingolfata da quasi due decenni», finiano. Una svolta, l’ultima, condotta con spregiudicatezza dallo scranno «super partes» di presidente della Camera, ma squisitamente politica quanto personalistica: prima con la spaccatura interna al Pdl, poi con la nascita dei gruppi di Fli, prossimamente con la fondazione del nuovo partito che concluderà il dietrofront cominciato dopo aver sciolto An nel partito unico del centrodestra. La parabola dell’ex delfino di Almirante è lunga e costellata di momenti alti e bassi e di mutamenti di linea e di pensiero, tra i peana per Mussolini «più grande statista del secolo» al fascismo «male assoluto». Ma non è nuova.
In questo, in effetti, il parallelo con Nichi Vendola regge. L’enfant prodige della sinistra da tempo non è più in fasce: il governatore pugliese era nel comitato centrale del Pci 21 anni fa, e cinque anni prima era stato vicepresidente della Fgci. Eretico, certo, ma anche uomo d’apparato, Vendola annovera nel curriculum quattro legislature come deputato, ed è stato tra i fondatori di Rifondazione comunista prima e di SeL poi. Dal 2005 governa la regione Puglia. Promosso sul campo vincendo le primarie del Pd, la sua prima esperienza è stata segnata dai disastri nella sanità regionale. Una voragine nei conti, ma anche le inchieste giudiziarie che hanno scoperchiato un sistema poco immacolato, radicato secondo gli inquirenti ben dentro la macchina amministrativa della Regione. A farne le spese per primo l’ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, accettato da Nichi, e dallo stesso difeso pubblicamente quando l’opposizione in consiglio ne rimarcò il clamoroso conflitto d’interessi (i figli lavorano nel settore delle protesi sanitarie come fornitori) e poi, all’inizio del 2009, indagato e costretto a lasciare la giunta. Storia replicata quando a finire coinvolto dall’inchiesta fu il vice di Nichi, Sandro Frisullo, indagato e poi arrestato per associazione per delinquere e turbativa d’asta. Lo stesso Vendola, per alcune nomine di primari, è finito indagato per tentata concussione, cosa che non gli ha impedito di confermarsi alla guida della Regione. Da qui ora lavora per il grande salto.
La magagna giudiziaria è l’ultimo parallelo con Fini, indagato per truffa aggravata per l’affaire immobiliare monegasco. Ma per entrambi la procura ha già chiesto l’archiviazione. Se sono il nuovo che avanza, non saranno le toghe a fermarli.