il secondo film della serie

il secondo film della serie

Azioni sismiche e arti marziali. Comportamenti borderline e sparatorie tra Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera: bentornato Sherlock Holmes, versione blockbuster natalizio confezionato per competere con i cinepanettoni.
Con Sherlock Holmes. Gioco di ombre (dal 16 dicembre) del londinese Guy Ritchie, noto alle cronache rosa come effimero ex-marito della popstar Madonna, ci risiamo col sequel Usa, che lascia una serie di indizi da sviluppare in un terzo momento. E pensare che due anni fa, quando per la prima volta nel XXI secolo il detective di Baker Street fece la sua comparsa sul grande schermo, sempre per mano di Ritchie, i tradizionalisti si girarono dall’altra parte: ma come si fa a prendere l’Iron Man Robert Downey jr. e farlo diventare uno schizzato frequentatore dei più loschi club dell’East End, con la scusa di rinfrescare il flemmatico personaggio british? Si fa: 524 milioni di dollari rastrellati nel mondo ne sono la prova e chi se ne frega se per i cinefili fa testo soltanto Vita privata di Sherlock Holmes (1970) di Billy Wilder. D’altronde, anche questo Holmes pare girato nei ’70, quando i registi non avevano fretta di concludere, visto che per due ore e nove minuti la regia procede per zig-zag, tra digressioni cervellotiche d’una storia già complessa di suo, che inzeppa il tema centrale di continue parentesi.
Comunque, la vicenda parte da uno scandalo, che coinvolge un industriale indiano e uno spacciatore d’oppio cinese, mentre a Strasburgo e a Vienna esplodono bombe e un magnate americano dell’acciaio muore in strane circostanze. Siamo nella Londra del 1891 e quale nesso può esserci, tra fatti così lontani, se l’ispettore Lestrade (Eddie Marsan) archivia come suicidio la morte del Principe d’Austria? Holmes lo intuisce subito, mettendo al centro del suo diorama il «Napoleone del crimine», ovvero il professor Moriarty (Jared Harris), che complotta una strategia della tensione globale. Intanto, il povero Watson (Jude Law) deve sposarsi con la dolce Mary (Kelly Reilly), ma proprio qui vien fuori il lato omoerotico alla moda della relazione tra Sherlock e il suo fido assistente: i due, che nel film se la giocano a vecchia coppia sposata, sventano un attacco terroristico su un treno, mentre comincia la luna di miele dei coniugi Watson. E chi finisce a mare, buttata giù dal treno, di notte? Elementare, Watson: la sposina. Ci vogliono il secondo Holmes, cioè Mycroft (Stephen Fry), fratello maggiore di Sherlock, e l’aiuto d’una zingara francese con il viso animalesco di Noomi Rapace (la Lisbeth della trilogia Millennium).
Ritchie affastella treni, navi, foreste, corridoi del potere nelle capitali d’Europa, il palco dell’Opera di Parigi (col Don Giovanni!), mentre Sherlock capta ogni dettaglio, prevedendo le mosse del nemico. Naturalmente, pipa curva e berretto dell’investigatore sono andati in soffitta e se, nei libri, Holmes risolve tutto col cervello, qui prevale il lato muscolare alla James Bond.

E pure la tendenza di Downey jr. a mostrare quant’è bravo a volgere in parodia il personaggio ha poco della controparte letteraria. Il vero Holmes, infatti, gode quando trova le soluzioni e le condivide. Non quando fa il simpatico.

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