Il segretario pd alle corde E tra i big del partito è corsa allo scaricabarile

Dopo la batosta di Genova la base se la prende con Bersani. Veltroni: "Cambiare sistema". Altri accusano Franceschini

Il segretario pd alle corde  E tra i big del partito  è corsa allo scaricabarile

Roma - «Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così...». Sulla pagina Facebook di Pier Luigi Bersani, qualche iscritto Pd ha ironicamente postato il video di Bruno Lauzi che canta «Genova per noi».
Gli altri invece si sfogano, più o meno imbizzarriti dalla debacle alle primarie del capoluogo ligure, che il segretario derubrica a semplice «ammaccatura». C’è chi protesta contro le primarie di coalizione («Siamo o non siamo un partito a vocazione maggioritaria?»); chi si arrabbia per le divisioni e le incertezze interne («Continuiamo a fare le primarie così, segretario? A proporre due, tre, quattro candidati Pd? Metteteci mano se no finisce male»); chi tira conseguenze politiche: «Vogliamo essere di sinistra!!! Smettiamola di inseguire Rutelli, Casini, perfino Fini».

E Monti: più d’uno, sui blog legati al Pd, inizia a porre la questione. L’appoggio al governo del Professore, che secondo molti costringe il Pd ad «abdicare» alla sua identità di sinistra, ci danneggia.
È questo, al di là dell’imbarazzo per l’ennesima partita giocata poco brillantemente dai candidati del Pd, lo scricchiolio che più preoccupa lo stato maggiore. Tanto che, dall’ala moderata, Peppe Fioroni alza subito il fuoco di sbarramento: «Ora l’errore sarebbe appoggiare Marco Doria: non possiamo sostenere un candidato che ha fatto tutta la sua campagna per le primarie attaccando il governo che noi votiamo e le sue politiche».

Bersani, però, si è già schierato per il candidato vincente. Resta da risolvere la questione di come mantenere in vita lo strumento primarie evitando che si logori (i partecipanti calano ovunque) e si traduca ogni volta in un boomerang che torna dritto in testa al Pd. Tanto più in questo clima di insofferenza crescente per i partiti, a cominciare dai più grossi: come commentava ieri Walter Veltroni con i suoi, il segnale arrivato da Genova è l’ennesima conferma che chiunque non abbia il marchio Pd vince. E giù l’elenco: Pisapia a Milano, Renzi a Firenze, De Magistris a Napoli, Zedda a Cagliari. Non si tratta insomma di uno spostamento a sinistra, e «tanto meno di una conferma che si debba puntare sulla foto di Vasto», come dice il veltroniano Stefano Ceccanti. Non è un’affermazione degli uomini di Sel su quelli di Bersani (anche perché Doria non è un vendoliano organico), ma del rischio che l’antipolitica dilaghi a sinistra, affondando il sogno di un Pd di governo.

Sulle primarie di coalizione si pensa di correre ai ripari mettendo mano allo Statuto, come spiega lo stesso Bersani: «Sarebbe cosa buona e logica che il Pd selezionasse la sua candidatura per vie interne». Una sorta di primarie delle primarie, per evitare pasticci come quello genovese. Che ora i bersaniani mettono in conto al capogruppo Franceschini: «È lui che ha sponsorizzato Roberta Pinotti, una ex scout ben vista nel mondo cattolico». Dalle parti franceschiniane però si fa notare che il segretario non si è messo di traverso, anche perché in caso di elezione a sindaco Pinotti avrebbe lasciato il suo seggio da senatrice al primo dei non eletti, il responsabile Economia Stefano Fassina.

«È mancata una direzione politica dal centro», lamentano da Area democratica, la corrente di Franceschini. «Bersani doveva evitare che si creasse il caso Vincenzi: o la convinceva a ritirarsi, oppure è assurdo che un sindaco uscente sia sottoposto a primarie».


E mentre nel Pd ligure piovono dimissioni, e a Palermo scoppia la rissa interna sulla Borsellino, la linea di Bersani viene attaccata da più parti: «Non si può essere alleati di Sel e stare con Monti», dice Gero Grassi. «È un voto contro il Pd», tuona Cofferati. E la Velina Rossa invoca un congresso anticipato. «Pensiamo all’Italia, non ai congressi», replica Bersani.

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