Il segreto di Kathryn l’antifemminista che fa film da uomo

Davide, per giunta donna, che batte Golia, per giunta suo ex marito. Il premio Oscar finalmente al femminile, il profumo delle mimose che sconfigge l’odore dei soldi... Nel taccuino del Gps, il Giornalista pigro e di successo, il trionfo cinematografico di Kathryn Bigelow è di quelli che risvegliano gli istinti peggiori: l’abuso di metafore, l’orgia dei luoghi comuni, la faciloneria dei giudizi. Essendo pigri, ma non di successo, giriamo a largo...
Kathryn è una bella ragazza di quasi sessant’anni, fa cinema da quando ne aveva trenta, ha avuto una giovinezza da pittrice d’avanguardia, seguace di Pollock. Il suo film più famoso resta Point Break, Punto di rottura, in cui dei surfisti rapinavano banche indossando maschere da ex presidenti americani; il più sofisticato Strange Days, incentrato su una specie di videoregistratore cerebrale; il meno riuscito, Il mistero dell’acqua, analisi di coppia nell’America profonda di fine Ottocento.
In sostanza, la Bigelow è molto più a suo agio quando fa film d’azione ed è molto più in sintonia con le psicologie maschili che non quelle femminili. Sotto questo aspetto, The Hurt Locker, la pellicola con cui ha fatto l’altra sera l’en plein (Oscar come migliore regia, miglior film, migliore sceneggiatura, miglior montaggio sonoro, migliori effetti sonori, miglior montaggio) è esemplare: non solo perché racconta le vicende di un gruppo di militari Usa addetto alla bonifica dei luoghi minati in Irak, ma perché, nella totale assenza di un contraltare femminile, inserisce anche un’intelligente riflessione su quella che è la «dipendenza da rischio»: l’elemento adrenalinico che tanta parte ha nel rapporto fra mestieri e sport estremi e psiche maschile. Insomma, la Bigelow sarà anche donna, ma pensa come un uomo.
Già sposata con James Cameron che, lo ricordiamo, era a sua volta in corsa con Avatar, il film più costoso della storia del cinema, 500 milioni di dollari, e che si è dovuto accontentare di tre statuette, Kathryn sta adesso con Mark Boal, già giornalista «embedded» in Irak, i cui racconti di guerra sono stati alla base della sceneggiatura del film. Boal è molto più giovane e anche in questo la Bigelow dimostra di essere controcorrente rispetto al suo sesso, ovvero all’avanguardia, visto che di solito è l’uomo che, invecchiando tende a scegliersi partner sempre più giovani... Le femministe ancora in vita obietteranno che questa è una stupidaggine e che il piacere della giovinezza accomuna se mai uomini e donne nella ormai raggiunta parità dei sessi. Siccome la disputa ci lascia indifferenti, soprassediamo e lasciamo che ciascuno giudichi come sesso gli pare.
Va anche detto che nello scontro fra cinema indipendente e di basso costo e cinema degli studios e degli effetti speciali, l’idea che la Bigelow rappresenti il primo, e l’ex marito il secondo, è per quello che la riguarda sicuramente vera e però profondamente falsa. Nel senso che Kathryn non è un corpo estraneo del sistema cinematografico hollywoodiano: ha fatto film con grandi produttori (tra cui il suo stesso ex marito) e grandi attori (Harrison Ford, e Sean Connery per citarne solo due), conosce il sistema che lo tiene in vita e non ne auspica la distruzione. Ma The Hurt Locker, girato in Giordania, non aveva bisogno né di volti noti né di finanziamenti eccezionali: riflessione sulla guerra, aveva la sua ragion d’essere sull’idea di stress, il senso del pericolo, l’esercito come corpo separato di specialisti...


Ricapitolando: psiche maschile in corpo femminile, una cinematografia fatta di molta azione e pochi tiramenti mentali, un’attenzione per i gusti e le passioni maschili. La madre della Bigelow era una bibliotecaria: quando seppe di essere incinta, non volle sapere il sesso del nascituro e, sembra, si limitò a dire: «Speriamo che sia femmina». È stata accontentata...

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