Il segreto del prof Stardust: «Così ho catturato la cometa»

L’ingegner Peter Tsou è l’inventore di un aerogel che ha imprigionato le particelle della stella Wild 2

Nino Materi

Una ninna nanna racconta di una polvere magica che, cadendo dal cielo sulla terra, la sera fa addormentare tutti i bambini.
Forse è solo un trucco per calmare i piccoli più capricciosi, ma è certo che l’ingegner Peter Tsou questa fiaba la racconterà ai suoi nipotini. Tsou è uno scienziato della Nasa, ma soprattutto è il «professor Stardust» che è riuscito a catturare l’«anima» di una cometa.
Tra le sue mani Peter stringe una scatolina «sporca» di polvere di stelle: un piccolo contenitore di plastica unico al mondo e preziosissimo. All’interno dello scrigno trasparente un tesoro che è anche la materializzazione di un sogno: particelle microscopiche «rubate» alla coda della cometa Wild 2 che ci dicono da dove veniamo e, forse, dove siamo diretti.
Per imprigionare il segreto di questa scia luminosa, il professor Tsou ha inventato una specie di «spugnetta» che avrebbe fatto la gioia del comandante Kirk. In realtà si tratta di un rivoluzionario aerogel: «Un materiale paragonabile al vetro ma 100 volte meno denso e 10 volte più resistente».
Grazie a questo materiale da fantascienza la sonda Stardust è riuscita a imprigionare (senza danneggiarle) le particelle della cometa Wild 2. La sonda, partita nel 1999, ha affiancato il suo obiettivo luiminoso cinque anni dopo.
Nel 2004, infatti, dalla navicella americana è uscita una «racchetta» ricoperta da 130 «zollette» di aerogel in grado di afferrare al volo i granuli di cometa che sfrecciavano nel cosmo a una velocità di 20mila chilometri all’ora. Il 15 gennaio 2006 la sonda è rientrata sulla terra, regalando ai ricercatori l’eccezionale «bottino» spaziale.
«Piccole particelle di una cometa lontana che possono aprire gigantesche finestre sul nostro passato...», commenta il professor Tsou, ben sapendo che le sue parole ricordano la mitica frase di Neil Armstrong quando mise piede per la prima volta sulla Luna: «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l'umanità...».
Peter ha 66 anni e 4 figlie, nessuna delle quali ha intenzione di seguire le orme paterne: «A inseguire le stelle basto io», racconta al Giornale lo scienziato della Nasa che il 3 novembre ospiterà a Los Angeles tutti i colleghi che, in vari laboratori del mondo, stanno studiando i frammenti di Wild 2.
Tra questi ricercatori ci sarà anche la dottoressa Alessandra Rotundi dell’Università Parthenope di Napoli che oggi, nell’ambito del «Progetto Italia» Telecom, con il professor Tsou illustrerà al Future Centre di Venezia gli aspetti principali dello studio. I risultati delle prime analisi sembrano confermare ciò che da tempo è una delle ipotesi più suggestive rispetto all’origine della vita sul nostro pianeta: 3,9 miliardi di anni fa la Terra sarebbe stata al centro di un super bombardamento cosmico e il «seme» primordiale potrebbe essere arrivato proprio da una cometa. In altre parole, non è escluso che le particelle afferrate dalla «racchetta» della sonda Stardust siano «parenti strette» di quelle da cui sono nati uomini, animali e piante.
«Le stelle mi hanno affascinato fin da piccolo - confessa il professor Tsou -, ho sempre invidiato gli astronauti anche se - dopo aver conosiuto i durissimi test a cui vengono sottoposti - ho preferito “lanciarmi” sui libri piuttosto che nello spazio».
Professor Tsou, non crede che gli annunci di alcune «clamorose» missioni spaziali nascondano in realtà furbe operazioni di marketing?
«Sono d’accordo con lei, basti pensare alla missione “Deep Impact”. Ritengo che certe missioni, al di là di qualche suggestione cinematografica, lasceranno molto alla scienza».
La sensazione è che in ballo ci siano finanziamenti enormi e che, per accaparrarseli, ci sia chi è disposto a fare carte false. Le cose stanno così?
«Esattamente. Anche se è giusto fare dei distinguo.

La missione Apollo è costata 100 miliardi di dollari. Sa, invece, quanto si è speso per il piano Stardust? Un miliardo di dollari. Esattamente la stessa cifra stanziata per il film Titanic. Con una differenza non da poco: la nostra missione non rischia di affondare...».

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