«Sei anni per una sentenza? Basta lavorare»

È presidente del più grande tribunale d’Europa: quello, caotico per definizione, di Roma. Ma Paolo De Fiore non ha perso l’entusiasmo e la speranza: «Si può fare molto, si può migliorare il sistema, si può avere un importante incremento di efficienza».
Presidente De Fiore, il governo vuole fissare un tetto di sei anni per i procedimenti penali. Da dove cominciare per abbreviare i tempi?
«Si possono fare molte cose. Per esempio depenalizzare e affidare le cause meno rilevanti ai giudici di pace».
Sono anni che si parla di depenalizzazione, di diritto penale minimo, di riforma del codice.
«Sì, ma il punto fondamentale è questo: sfrondare».
A che cosa si riferisce?
«I giudici non possono occuparsi di tutto, i pm non possono inseguire tutte le minime violazioni alla legge, tutti gli illeciti».
Va ripensata l’obbligatorietà dell’azione penale?
«Certo, siamo davanti a un mito. In concreto non è possibile stare dietro a tutto quello che succede».
Sta dicendo che l’obbligatorietà diventa discrezionalità dell’azione penale e intanto i tribunali si intasano?
«Non voglio essere presuntuoso e poi non ho mai fatto il pm. Ma questo dato mi pare evidente».
I giudici in Italia sono poco meno di novemila. Un numero insufficiente per arginare l’emergenza?
«Forse sì. Ma non di molto, perché poi, se si sale, la qualità scade inevitabilmente».
E allora?
«Il problema è quello delle risorse mal distribuite. Perché abbiamo decine di colleghi fuori ruolo? Dovrebbero rientrare negli uffici. E poi mi chiedo: perché io dirigo un tribunale gigantesco e ci sono invece piccoli uffici giudiziari che non hanno ragione di esistere?».
Anche della riforma delle circoscrizioni si parla da decenni. Intanto, in provincia di Alessandria resistono quattro tribunali. Il campanile vale più dell’efficienza?
«Purtroppo, talvolta, le risorse si sprecano. A Roma sto procedendo per recuperare efficienza, ma non sarà facile. Pensi, per darle un alto elemento, che ho introdotto la specializzazione delle sezioni che prima non esisteva».
Tutti i giudici facevano tutto?
«Sì. Ora non è più così».
Molti suoi colleghi non vogliono le riforme?
«Ci vorrà tempo per cambiare la mentalità e assistere ad uno scatto di produttività. E poi devo fare i conti con i tempi canonici dell’apparato giudiziario: sono lunghi. Troppo lunghi».
Ma i cittadini hanno appuntamento con la giustizia tutti i giorni.
«Appunto. Ma io devo aspettare i bandi del Csm. Oggi ho bisogno di 21-22 giudici, il Csm ha bandito il concorso, ma io vedrò i nuovi colleghi fra 7-8 mesi, se non fra un anno. E per quel periodo mi arrangerò».
Nel civile?
«Il problema è speculare a quello del penale. Dobbiamo abbassare la montagna dei procedimenti».
Come?
«Gli italiani litigano troppo. Nel recente passato il legislatore ha moltiplicato i riti, seguendo una strada fallimentare. Ora il governo ha finalmente imboccato la via giusta con una legge che è in fase di perfezionamento».
Quale?
«Quella sulla mediazione, un istituto a cui credo molto.

Verranno introdotti incentivi per chi chiude in partenza la causa, disincentivi per chi decide di andare avanti. Non è possibile che ogni disputa, anche la più insignificante, sia oggetto di un processo in tribunale, poi in corte d’Appello, infine in Cassazione».

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