Sei bravo a scuola? Occhio al branco (dei somari)

Ora mio figlio è al riparo, tra le quattro mura di un convento. Qui nessuno lo deride se prende (come prende) 30 e lode a ogni esame di università. L'università è quella di Teologia, e manca solo un anno alla laurea. Dopodiché, mio figlio diventerà (se Dio vuole. Ma credo che voglia) sacerdote.
Non era così al tempo delle scuole superiori. Al tempo delle scuole superiori c'era sempre qualcuno, anzi un gruppo di "qualcuno" che lo canzonava per i suoi voti alti. Giacomo non malediva, come avrebbe fatto il padre, ma perdonava. E perdona oggi, perdona domani, s'è preso il diploma ed è finita la (brutta) storia.
La storia invece è finita male per uno studente di Ischia, due anni fa. Diego era un alunno modello, l'orgoglio dei genitori, e l'invidia di quelli (tanti, quasi tutti) che avevano un figlio somaro. Ma al liceo dove studiava, i compagni lo perseguitavano, chiamandolo di continuo «secchione»: «Zitti, zitti, sta arrivando il secchione», «secchione, ma alle ragazze ci pensi mai?», «secchione, ma sei nato vecchio?», ed altre canzonature. Alla fine Dario non ce l'ha fatta più, s'è stretta una corda al collo e s'è impiccato. Pazza di dolore la mamma ha gridato: «La scuola mi dovrà rendere conto di quello che è successo!».
Qualche anno prima, una studentessa di scuola media, per sfuggire a un gruppo di compagni che la prendevano in giro a causa dei molti libri che portava a scuola, e dello zaino vistoso, attraversò di corsa la strada e fu travolta da un'auto. Ieri, a Subiaco, uno studente primo della classe, è stato picchiato da quattro coetanei (15 anni), che gli hanno distrutto anche la sua microcar, regalo dei genitori per l'ottimo profitto. I bulli sono stati denunciati con l'accusa di danneggiamento e percosse, ma siamo sicuri che il buonismo imperante (a scuola come nelle aule di tribunale) non andrà più in là di una paternale.
Oggi, chi va bene a scuola, è una mosca bianca, e come tale è derisa, beffeggiata, schernita. Le mosche nere, se potessero armarsi di paletta, la schiaccerebbero. La mosca bianca dà fastidio perché è «stonata», non fa parte del gruppo, non corrisponde allo stile dominante. Lo stile che veste tutti degli abiti (delle orecchie) d'asino.
D'altronde, che cosa vuoi aspettarti da gente che crede l'alcova un pollaio, la balistica l'arte di dire bugie, il bergamotto un abitante di Bergamo, la cariatide una malattia dei denti, il daltonismo la dottrina del rivoluzionario francese Danton, e la difterite un'antica divinità egizia? Ma qui non si tratta solo di assonanze. I nostri studenti non sanno niente di matematica (anzi di aritmetica), di scienze, di geografia, di storia, di chimica, di fisica, di botanica. Non sanno niente di niente, e sono gli stessi che hanno impedito al nostro direttore di presentare il suo 5 in condotta. Bene ha fatto Giordano a chiamarli «fascisti rossi», sempre che sappiano che cosa sia il fascismo (vuoi vedere che qualcuno crede sia un partito fondato da Piero Fassino?).
Ciò che preoccupa è che questi primi della classe, questi ragazzi con la testa sul collo, questi giovani responsabili, questi figli amorosi possano diventare degli asociali. Se mio figlio ha scelto la strada del convento non è stato per fuggire il mondo, anzi per andargli incontro ancora di più, se così posso esprimermi, attraverso le preghiere quotidiane e l'opera di apostolato. Ma un ragazzo bersagliato per le sue doti intellettive può finire con l'estraniarsi ed evitare la gente. E ciò facendo può non far valere le sue doti intellettuali.


È compito dei genitori aiutarlo a socializzare, a fortificarlo nel carattere. Ad avere pazienza con gli altri, perché se è vero che la mamma dei fessi è sempre incinta, è anche vero che ride bene chi ride ultimo.
E gli ultimi saranno i primi. I primi della classe, intendo dire.

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