A cavallo dell’Oceano Atlantico lo storico britannico Niall Ferguson è una specie di star: ha incarichi in tre università di spicco (London School of Economics, Harvard e Stanford) cura popolari programmi televisivi di divulgazione e scrive uno dopo l’altro libri che si trasformano regolarmente in successi editoriali. L’ultimo arrivato, Civilization. The West and the Rest (Civiltà. l’Occidente e il resto), pubblicato poche settimane fa in Gran Bretagna, non sembra destinato a fare eccezione. Anche perché le ambizioni del volume non sono da poco. In 350 pagine di una prosa godibilissima Ferguson affronta il controverso tema dei rapporti tra la cultura occidentale e le altre. Con un punto di partenza preciso: «C’è chi sostiene che tutte le civiltà siano in un certo senso uguali e che l’Occidente non possa vantare una superiorità rispetto per esempio alla parte orientale del Continente eurasiatico. Si può dimostrare che tale relativismo è assurdo. Nessuna precedente civiltà ha mai acquisito una tale prevalenza rispetto al resto del mondo». Non si tratta di negare le colpe o le atrocità compiute nel corso dei secoli, dice Ferguson. Ma negli ultimi 500 anni, l’Occidente ha lasciato dietro di sé tutti gli altri. Non solo in termini geo-strategici o militari, economici o materiali, ma anche in termini di libertà o, più generalmente, di «capacità di liberare il genio che è insito nella natura umana».
Affermazioni nette, che cozzano contro il linguaggio politicamente corretto di molta accademia. E che naturalmente hanno già suscitato critiche. Così come qualche recensore ha arricciato il naso, parlando di eccesso di semplificazione, di fronte a un’altra tesi centrale del libro di Ferguson, che riconduce la superiorità occidentale a sei «molle», sei leve di successo che hanno fatto la differenza con il resto del mondo: competizione, scienza, rispetto dei diritti di proprietà, sviluppo della medicina, propensione al consumo ed etica del lavoro (vedi anche il box a fianco).
Lo storico inglese, da parte sua, difende a spada tratta il rigore scientifico delle sue tesi ma concede di aver voluto usare un linguaggio semplice e accessibile: «Ho pensato di farmi capire dai ragazzi di 16-17 anni. Spesso è proprio a loro che manca l’inquadramento per contestualizzare quello che studiano». Quanto al libro, il testo è strutturato intorno a ciascuno dei sei già citati fattori di successo. Il primo capitolo è dedicato, per esempio, alla competizione, da intendersi sia in senso politico sia in senso economico, a al suo contribuito alla sviluppo della civiltà occidentale. Il confronto è con la Cina: nel 1500, sia come potenza militare sia come tecnologia, era ancora all’avanguardia del mondo. Ma avviluppata dal pensiero unico confuciano e imprigionata dall’ uniformità obbligata di un impero centralizzato non riuscì a tenere il passo di un’Europa il cui dinamismo derivava dalla frammentazione culturale e politica.
Ferguson passa in rassegna un paio di migliaia di anni di storia umana, ma la sua preoccupazione è comunque legata al presente. Oggi, dice, il mondo occidentale sembra vivere una crisi gravissima. Dal punto di vista demografico è in arretramento continuo, mentre la crisi finanziaria ha dato un colpo tremendo al suo equilibrio economico. Le altre aree culturali e strategiche hanno mutuato (sia pure talvolta solo superficialmente) le armi che hanno fatto vincere l’Occidente. E anche in questo caso l’esempio più calzante è quello della Cina, che negli ultimi anni ha sposato il concetto di competizione in maniera molto più convinta di buona parte dell’Europa.
Ma secondo Ferguson il vero pericolo che corre oggi l’Occidente non è la Cina, o l’Islam, ma la nostra perdita di fiducia nella civiltà che abbiamo ereditato dai nostri antenati.
E proprio per questo il libro termina con una citazione di Winston Churchill: «La civiltà non potrà durare, la libertà non potrà sopravvivere, la pace non potrà essere mantenuta se una buona parte dell’umanità non si unirà per difenderle, mostrando una forza d’animo in grado di incutere timore alle forze della barbarie». Quando queste parole furono pronunciate il pericolo era il nazismo. Oggi, dice Ferguson, «è la nostra pusillanimità e la storica ignoranza che la nutre».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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