Da che mondo e mondo, ai tifosi di ogni sport è riconosciuto, oltre al diritto di applaudire, anche quello di fischiare. Certo, gli appassionati di rugby sono di un genere un po' particolare, più adepti che tifosi, e in genere pronti ad applaudire anche lo sconfitto, specie se si comporta con onore. Ma tre settimane fa al «Flaminio», quando l'Italia si è fatta sbeffeggiare dall'Irlanda, lo stadio ha perso la pazienza e ha fischiato. Succede.
Domani a Roma, per la penultima giornata del Sei Nazioni 2009, arriva il Galles. Partita difficile, per non dire impossibile. E, aldilà dei proclami di facciata, lo sa anche lo spogliatoio azzurro. Tanto che Sergio Parisse, terza-centro e capitano, se ne esce con un proclama decisamente inconsueto: «Domani la gente che ha voglia di fischiare vada a vedere un'altro sport». Evidentemente, neanche lui è convinto che lo spettacolo destinato ad andare in scena sarà di quelli che strappano gli applausi.
La dichiarazione di capitan Parisse tradisce il nervosismo di un gruppo segnato dalle sconfitte e della sfiducia in se stesso. Sfiducia, soprattutto, nel tecnico Nick Mallet, che i veterani della Nazionale considerano responsabile in prima persona - grazie alle sue scelte - di questa catastrofica avventura azzurra nel Sei Nazioni.
Lui, Mallet, si aggrappa ai proclami di facciata: «Non credo affatto che partiamo sconfitti». Certo, tutto è possibile. Ma ad essere convinti che il divario tra le due nazionali sia difficilmente colmabile sono (oltre ai bookmakers di tutto il mondo) anche i nostri avversari: il tecnico gallese Warren Gatland manderà in campo una formazione piena zeppa di rincalzi. Rincalzi di peso. Ma pur sempre rincalzi. Per l'Italia del 2009, pensa Gatland, saranno più che sufficienti. Una sconfitta annunciata, insomma.
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