Seleçao grandi firme Non solo Luis Fabiano fa gol anche la difesa

Rieccoli, riecco il Brasile grandi firme. Ci voleva il clima di battaglia, la sfida da caccia all’uomo che poi è stata soprattutto caccia al gol. O Fabuloso e i fabulosi si sono fatti sentire con uno squillo. Tre gol e qualche prova d’autore. Il Cile alla lunga è stato uno sparring. Servita anche la satira dei giornali cileni. In ogni paese non ci si intende sui limiti della satira: quelli disegnano un aereo che va a schiantarsi contro il Cristo del Corcovado. Una sorta di 11 settembre augurato alla Seleçao. Un’idea da brivido, vero? Meglio quelli del campo.
Per dimostrare che la sua forza sta nella difesa, il Brasile ha affidato ai difensori suoi di sbrogliare ogni matassa. Poi sono arrivati anche gli attaccanti. Ma il testolone di Juan, istigato da un bel cross di Maicon, è stato più decisivo di quello di un centravanti. E così pure l’azione da rompighiaccio (e rompi altro) offensivo di Lucio ha provocato un rigore, che solo l’ennesimo guardalinee cieco ha evitato di convertire secondo quanto dice il regolamento del calcio: un’entrata a tenaglia di Contreras e Lucio giù in area. Arbitro incerto, guardalinee certo: non se ne parla! Come dire: ad ognuno il suo momento di gloria. Quello del Brasile si è rivelato nel giro di una decina di minuti, dal rigore mancato, al gol di Juan, fino al raddoppio di Luis Fabiano che si è ricordato di essere “o Fabuloso” ed ha sveltamente usufruito della prima giocata decente di Kakà: palla verticale, difesa di burro e gol del 2-0.
Quaranta minuti per decidere una partita, ma quanti ce ne vorranno per capire se questo Brasile è davvero da finale? Ieri Dunga ha modificato la formazione non avendo Felipe Melo (chissà quanti sospiri di sollievo) e Elano. Il Cile è stato intrigante e intraprendente per il primo quarto d’ora, poi si è sciolto, anzi aperto, insomma si è perso nella sua sfrontatezza: tre punte, quasi quattro, sono un po’ troppe per non soffrire il rombare dei motori brasiliani.
Brasile molto fisico, modellato ad immagine e somiglianza del suo allenatore. Certo, se poi Kakà, Luis Fabiano, Robinho, Maicon e quel Michel Bastos che sembra un jet di fascia, un nuovo Roberto Carlos, alzano i ritmi e imbroccano giocate, la partita si fa difficile per qualunque armata calcistica. Ma quella prima mezzora in cui Fabiano ha ciccato un tiro nello stile del peggiore broccaccio e Bravo, il portiere del Cile, ha tenuto fede al cognome, hanno indotto a pensar male. Comunque a pensare di una squadra dove la tendenza a mandarsi a quel paese gli uni con gli altri è da effetto Balotelli più che effetto Kakà.
Dietro questi nervi e agli imbarazzi di indirizzare il match secondo indole e bravura, sta il meraviglioso mistero del Brasile che piace a tanti. Qualche domanda: Robinho c’è o non c’è? Ieri si è presentato solo con il gol: il terzo della Seleçao. Ramires gli ha confezionato l’azione e lui ha calciato come avesse il radar. Vero che il Cile è la sua vittima predestinata: ora sono sette gol in 5 partite. Media da fenomeno, che forse non è (chieder a Mancini che lo ha visto al Manchester City). Dani Alves serve o è uno spolverino e poco più? Kakà può bastare? Invece la difesa è un muro e un marchio di garanzia. Nessuno si tira indietro quando il gioco è duro. O si fa duro. Buon per la goduria tifosa. Allo stadio c’era pure Mick Jagger, che per un po’ è stato visto come l’uomo nero. Sì, insomma, un aspirante jellatore. L’Intramontabile dei Rolling Stones finora aveva assistito alle eliminazioni di Usa e Inghilterra. E dopo aver professato il tifo pure per la Seleçao, sui siti brasiliani sono cominciate preghiere e imprecazioni contro l’uomo della jattura. Poi Luis Fabiano e compagnia gli hanno evitato guai. A modo suo, ha vinto anche Jagger.
Sì, il Brasile che vince accontenta sempre mezzo mondo: è il suo destino di squadra della leggenda. Da San Paolo del Brasile ci si è messo pure Berlusconi che non ha mai dimenticato il debole per Kakà, nonostante l’addio dell’anno scorso.

E allora il patron del Milan ha regalato un pronostico che poi ha fatto centro: «Dovunque fossi tiferei Brasile e spero che vinca. Anche perché in campo credo ci sia Kakà». Kakà c’era e si è visto: forse meno milanista (quand’era grandioso) e più realista (limitandosi al minimo ma con qualità). Ma sempre Kakà. Basta la parola.

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