«Il target viene raggiunto con una iniezione
di cloruro di potassio al cuore». Non è facile raccontare in
un’aula di giustizia come si pratica un
aborto selettivo, e non è facile ascoltarlo. Soprattutto
se l’aborto selettivo è quello che il 4
giugno dell’anno scorso all’ospedale San Paolo
si concluse in modo tragico, con la morte del
gemello sano invece che con quella del fratello
down. Per quell’aborto sono sotto processo tre
medici e il direttore sanitario.
Da molte udienze, ormai, si scava alla ricerca di una spiegazione plausibile, per individuare come un errore così terribile sia potuto avvenire. Ieri arriva in aula una testimone chiave. È lei a raccontare per filo e per segno cosa accadde in quei giorni nell’ospedale della Barona.
Il medico si chiama Maria Bellotti, fa da anni la ginecologa al San Paolo, è una specialista di diagnosi prenatali. Non fa aborti, perché è un’obiettrice di coscienza. Quando le sue analisi riscontrano malformazioni e la donna incinta sceglie di interrompere la gravidanza, lei passa la pratica ad altri colleghi. Ieri, davanti al giudice Anna Conforti, la Bellotti definisce questo un «punto critico»: la pratica che cambia di mano, la paziente che vede cambiare i volti che si occupano di lei. «Dal punto di vista tecnico - ha voluto precisare - questo non è un problema». Eppure, in questo caso, qualcosa è andato storto. Drammaticamente storto.
«Sono stata io a effettuare l’amniocentesi sui due feti che la signora portava in grembo. I risultati evidenziarono il trisoma 21». È il marcatore della sindrome di Down. La madre sceglie di interrompere la gravidanza per il feto malato. Ma qual è il feto con i cromosomi alterati? «Era quello di sinistra», dice senza incertezze la ginecologa.
Ma è qui che la situazione si fa oscura. Perché in alcuni atti dell’ospedale i due feti vengono indicati come «sinistro» e «destro», in altri «primo» e «secondo», in altri ancora «inferiore» e «superiore». È in questa confusione di termini che si innesca lo scambio decisivo? O l’errore avviene ancora prima, quando vengono etichettate le provette dell’amniocentesi? Sta di fatto che Maria Bellotti passa la pratica alle colleghe che effettueranno l’intervento. «Segnalai che la madre era piuttosto ansiosa e che forse sarebbe stato opportuno darle un tranquillante».
Il 4 giugno si procede all’aborto selettivo. «Il feto da sacrificare», come lo definisce la dottoressa (poi cambia, diventa il «feto da selezionare»), viene raggiunto dall’iniezione. «Il feto viene spento». A operazione conclusa, l’esame del sangue dà una risposta sconvolgente: «Il cromosoma non presentava anomalie». Era stato abortito il gemello sano.
«Noi non avevamo spiegazione per quello che era accaduto», dice la dottoressa, «non sapevamo se c’era stato un errore». A sentire lei sembra che sia stata la mano di Dio, sbotta il pubblico ministero Marco Ghezzi. Ma errore vi fu, e sarà il processo a dover capire da parte di chi.
«Ci fu una riunione di tutti i medici che si erano occupati del caso e nessuno ipotizzò di avere commesso sbagli», racconta la Bellotti. «Non avevamo spiegazione, c’era stata questa sorpresa». Era sbagliata la diagnosi iniziale? O i gemelli si erano spostati nel frattempo? «I feti dentro le loro sacche si muovono, ma è difficile che le sacche si spostino. Se la medicina fosse una scienza esatta, direi che è impossibile. Ragionevolmente non si spostano». E allora? L’equipe esegue l’aborto. «All’ecografia era impossibile distinguere i due feti, erano dello stesso sesso, non avevano malformazioni evidenti». Ci si basa sull’indicazione dell’amniocentesi, che dice che il feto Down è quello «sinistro».
«Fui io a comunicare alla madre - racconta la ginecologa - che il feto abortito non presentava malformazioni». Lei pianse? La madre pianse? «La reazione peggiore fu quella del padre. Io non piansi, ma non significa nulla». A quel punto bisogna decidere cosa fare. Prima di qualunque decisione, d’intesa con la madre, si sceglie di compiere una nuova amniocentesi sul feto superstite. E l’analisi conferma: trisoma 21, sindrome di Down.
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