«Sempre nel primo vagone ma ieri ha scelto l’ultimo»

Gli amici di Alessandra Lisi, ricercatrice trentenne, non si spiegano perché lei fosse lì. Ripeteva sempre: «In testa è più tranquillo»

da Roma

Una barriera fatta di coperte, tesa da vigili del fuoco e soccorritori del 118, per allontanare gli sguardi dei curiosi, gli obbiettivi dei fotografi, l’incredulità dei turisti. Il corpo di Alessandra Lisi è stato portato in superficie solo dopo mezzogiorno. E Alessandra è stato l’unico passeggero a non essere stato accompagnato all’ospedale, ma all’obitorio, dopo l’assenso del magistrato.
I volontari della protezione civile spiegavano che è stata una fatalità, perché questa ragazza di trent’anni, ricercatrice statistica, che tutte le mattine prendeva quel treno sotterraneo per andare a lavorare e che era partita alle 6 da Pontecorvo, in provincia di Frosinone, dove raggiunge i genitori e il fratello per il week end, si trovava proprio in fondo al convoglio colpito dal treno in corsa. Nel punto in cui le lamiere si sono accartocciate su se stesse, contorte dall’urto. «Era una ragazza solare, piena di vita, sempre con il sorriso sulle labbra», ricorda padre Romano, amico di famiglia, l’unico a riuscire a raccontare Alessandra nel giorno della tragedia inspiegabile. Il giorno in cui i genitori, la madre Lina, casalinga, il padre Antonio, caporeparto nello stabilimento Fiat di San Germano, hanno appreso dalla tv locale che a Roma c’era stato un incidente nella metropolitana, e che l’unica vittima era la loro Alessandra.
Si era laureata con 110 e lode all’Università La Sapienza con una tesi sul morbo di Alzheimer, e ora continuava a lavorare nel campo della statistica applicata alla medicina, nel centro di ricerca per lo studio dei difetti congeniti diretto da PierPaolo Mastroiacovo.

Alle 10 in laboratorio hanno iniziato a preoccuparsi non vedendola arrivare, poi qualcuno ha acceso la televisione e «ci siamo messi tutti a urlare», racconta Mastroiacovo: «Era la colonna del nostro centro di ricerca. Precisa, attenta, onesta. Sceglieva sempre la prima carrozza della metropolitana, perché mi aveva detto che era meno affollata e che voleva stare tranquilla».

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